6 novembre 2018

Mrs Osmond (Isabel) di John Banville

Qualche settimana fa è uscito in Italia Isabel di John Banville (Guanda) e una manciata di giorni dopo io ho concluso la lettura dell’originale in inglese, Mrs Osmond, nella preziosa edizione Viking (Penguin Books). Con questo libro, il celebre e acclamato scrittore irlandese ha tentato una “missione impossibile”: raccogliere il filo lasciato cadere da Henry James alla fine di Ritratto di signora e immaginare il seguito delle vicende della sua protagonista – Isabel Osmond, appunto. 
Mrs Osmond si apre con un’epigrafe bellissima, tratta dal romanzo jamesiano, «Deep in her soul – deeper than any appetite for renunciation – was the sense that life would be her business for a long time to come», una folgorazione che ci lascia già presumere quello che sarà il tema centrale del libro: Isabel e la sua relazione, al di là di tutto e di tutti, con la Vita. 
Misurarsi con la scrittura di Henry James è una sfida pericolosa e onestamente difficile da vincere: ci si aspetta sempre la “sua” pienezza, la “sua” perfezione, la “sua” capacità di superare i confini della psiche e di inoltrarsi, come una barca in mezzo all’oceano, nell’esplorazione del Sé. Non credo che Banville, o chiunque altro, potesse riuscirci: ma se non si conosce bene Ritratto di signora – sacro caposaldo della letteratura – e dunque non si è tentati dal tracciare un paragone, anche Mrs Osmond risulta davvero un bel libro. 
È la storia di un viaggio molteplice, che Isabel intraprende dapprima da Roma (dove sorge la sua residenza coniugale, Palazzo Roccanera) in Inghilterra per il funerale del cugino, Ralph Touchett, poi di ritorno sul continente, a Parigi, a Firenze (a Bellosguardo, con il suo panorama di «picturesque quilt of olive groves and vineyards, […] a heady fragrance of roses and cypress trees») e di nuovo a Roma. Non è un caso che il romanzo inizi su un treno, con la suggestiva frase: «She felt, did Mrs Osmond, the awful surge and rhtythm of the train’s wheels, beating on and on within her», come se la protagonista e il viaggio fossero una cosa sola. 
Questa è anche la storia di un viaggio interiore e della battaglia che Isabel compie contro sé stessa e i suoi pregiudizi, contro le scelte, le illusioni e i valori del passato: una lotta attraverso la quale lei si libera, finalmente, e che Banville sembra mettere in scena quasi per un atto d’amore verso di lei; per risolvere la tragedia dell’incompiuto rappresentata dal lucidissimo James e dare a questa giovane donna un nuovo orizzonte, una nuova strada da percorrere, nella consapevolezza del proprio valore personale e della necessità di svincolarsi da un marito che l’ha sempre ingannata: «the realisation of his narrowness of vision, of thought, above all of emotion, was the thing that most sorely disappointed and pained her». Alla fine, Banville permette a Isabel di riconquistare la propria vita, perché – ed è questo uno dei più bei passi del libro – «each life is given once, […] and the individual actor on whom the vivifying gift is bestowed must play his hour upon the stage with the unflagging conviction and in the full realization that there will be only one opening night».