20 ottobre 2015

Tre anime luminose fra le nebbie nordiche


Benché siano tanti anni che mi occupo di letteratura vittoriana, soprattutto femminile, non ho mai scritto nulla, in questo blog, sulle opere delle sorelle Brontë. Sarà perché ho letto Jane Eyre e Cime tempestose troppo tempo fa, al liceo, o perché, forse, la loro vita e la loro personalità – parlo di Charlotte e di Emily, in particolare – è per me più affascinante di quella dei loro personaggi.
Per questa ragione, la scoperta editoriale in cui mi sono imbattuta qualche settimana fa è stata davvero piacevole. Mi riferisco a Tre anime luminose fra le nebbie nordiche, una biografia delle sorelle Brontë ricca di osservazioni critiche (interessante a questo proposito la “Parte Quarta”), pubblicata per la prima volta addirittura nel 1903. Il testo, che rappresenta la prima biografia delle sorelle Brontë in lingua italiana, fu scritto in un’epoca in cui le traduzioni italiane di romanzi come Jane Eyre e Villette non erano ancora apparse: eppure la rivista Nuova Antologia recensì il volume affermando: “La lettura del libro è interessante come un romanzo, o meglio, come un racconto di cui conoscessimo e amassimo i principali personaggi”. 
Cover di Petra Zari
Ed è proprio così. Carlotta, Emilia e Anna Brontë (l’italianizzazione dei nomi non può che ricordarci, molto gradevolmente devo dire, che la scrittura di questo testo risale a un’epoca di scrittoi di legno profumato di cera, pennini che graffiano la carta, lampade a olio e fruscii di gonne sui pavimenti) diventano personaggi di una storia così avvincente da sembrare a sua volta una creatura dell’immaginazione; il rendiconto delle loro emozioni, dei loro turbamenti e delle loro grandi sofferenze assume la forma di un grande romanzo familiare, in cui lo sforzo di espressione del genio femminile riesce ad affermarsi e a dominare. La qualità della scrittura è alta, e l’italiano, ancorché old fashioned, è semplicemente bellissimo. 
Ma a chi dobbiamo questo felice, imprevisto e a lungo dimenticato prodotto di una forte passione per la letteratura inglese vittoriana? A un’altra donna, e forse non a caso. L’autrice di Tre anime luminose fra le nebbie nordiche, celata dietro il suggestivo pseudonimo “Gorgo Silente”, è, come ci spiegano le curatrici del libro, Giorgina Sonnino, nipote del celebre Sidney Sonnino che fu Presidente del Consiglio dei Ministri tra il 1906 e il 1910. La famiglia, di nobili origini, era ebraica da parte di padre e britannica da parte di madre. 
Fonte: cataloghistorici.bdi.sbn.it
È interessante notare che il catalogo del servizio bibliotecario nazionale e il catalogo storico della Biblioteca Malatestiana di Cesena riportano il rifermento a un articolo firmato da Gorgo Silente di soggetto evidentemente politico, intitolato “Cecil Rhodes. Il Napoleone del Capo”, pubblicato in Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti (Serie 4, Vol. 94, 1901, pp. 642-659).
Giorgina nacque nel 1875 e morì nel 1943, l’anno dell’armistizio. Osservando questi dati e queste date, mi viene da pensare che forse anche la sua storia personale potrebbe diventare un romanzo…. 
L’edizione originale di Tre anime luminose fra le nebbie nordiche è davvero rarissima, quasi introvabile, ed è dunque una grande soddisfazione che una giovane casa editrice indipendente si sia preoccupata di ripubblicare questo libro, disponibile sia in formato ebook che cartaceo. 
Flower-ed – di Michela e Giorgia Alessandroni – è una casa editrice digitale (ma non solo), fondata nel 2012, che pubblica sia saggistica che narrativa. In particolare, la collana “Windy Moors” (brughiere ventose) raccoglie saggi sulla letteratura vittoriana.


16 ottobre 2015

Meeting Kate Morton in Frankfurt

Great day yesterday for my blog (and me)! I took the train from Berlin before the dawn, travelled westward through Germany under a leaden sky and along snowy fields and finally reached Frankfurt, where I spent the morning visiting the International Book Fair. I walked up and down the Hallen with the eyes full of joy and the mouth open for surprise, while hundreds of the world’s most important publishing names flashed before me, and thousands of books shone like jewellery in their showcases, on their reading desks and on their shelves. Covers of old and new volumes attracted the curious glances of the participants, and around tables covered with cups of coffee, biscuits and candies (as a matter of fact, after five o’ clock canapés and bottles of white wine appeared...) enthusiast people spoke of writing, of editing, of translating, and (of course) of money-making.
It’s been like passing for a moment through sliding doors and having a look to what could (and should) have been: glancing at what would have been my life if I had realized the dream to become a professional in publishing. To dispel a touch of melancholy I wandered through the gorgeous (and crowded) stalls of children literature’s publishers and I examined the glossy catalogues of publishing houses that never let you down: the German Fischer and Suhrkamp/Insel, with its precious covers; the Parisian Gallimard; the British Bloomsbury; and, last but not least, the Australian Allen & Unwin, with its splendid collection of Kate Morton’s novels.
And Kate Morton herself has been the protagonist of yesterday afternoon. A book signing was scheduled at the Hugendubel bookshop: there I bought the German edition of her fourth book, The Secret Keeper (which I had already read in English) and, like other Kate’s admirers, I waited for her arrival in a little corner of the store, prepared for the occasion.
Sometimes coming face to face with a writer one really loves can be risky: what if the author is arrogant, looks bored or never smiles? Nothing similar happened yesterday: meeting Kate Morton has been a beautiful experience, thanks to her kindness and her great capacity to create an emotional bond with her readers. Like every highly-talented storyteller, she can charm you with a couple of sentences: it happens in her books, it happened yesterday, too.

For a start, Kate presented her new novel, The Lake House, which will be published at the end of this month: its German and Italian translations will appear in 2016, but, as always, I will read the original version - and I’m looking forward to it! The Lake House, she told us yesterday, is the story of a family in Cornwall (yes, like in The Forgotten Garden!) who, at the end of a glorious midsummer party in 1933, falls into tragedy. The other chronological level of the novel (which is an essential and recurrent element of Kate Morton’s stories) is set in the 21st century: the protagonist is a woman who must investigate the mysterious events of that past.
While signing, Kate was so kind as to chat with us and answer our questions. Among the thousands aspects I love of and in her books, there’s the power with which objects are imbued: jewels, letters, clocks, books, clothes are often crucial for the development of the story, because they help characters (and readers) to shift from the present to the past, and viceversa. Sometimes the very identity of characters is linked to objects: this is the case with the brooch in The Forgotten Garden, or with Juniper’s dress in The Distant Hours. I asked Kate if there is a particular category of objects she feels inspired by; she answered that her mother worked as an antique dealer, so since her childhood Kate has been attracted to boxes, caskets, drawers, and any mysterious object which could reveal a connection with the past.
Her novels are just like this: chests of wonders, where the reader can experience strong emotions, be transported to another place in time and use all of the five senses, because Kate’s stories brim with sounds, hues, scents, and touch sensations. Nothing can be better now than waiting for the mysteries, the colours and the musicality of The Lake House...

In italiano....

Ieri è stato un gran giorno per Ipsa Legit (e per me)! Ho preso il treno da Berlino prima dell’alba, ho viaggiato verso ovest attraverso la Germania sotto un cielo plumbeo e lungo campi innevati e alla fine ho raggiunto Francoforte, dove ho trascorso la mattina visitando la Fiera Internazionale del Libro. Ho passeggiato su e giù per i padiglioni con gli occhi pieni di gioia e la bocca aperta per la sorpresa, mentre centinaia di nomi delle più importanti case editrici del mondo balenavano davanti a me, e migliaia di libri splendevano come gioielli nelle teche, sui leggii e sugli scaffali. 
Le copertine di volumi vecchi e nuovi attraevano gli sguardi curiosi dei partecipanti, e intorno a tavolini coperti di tazze di caffè, biscotti e caramelle (veramente dopo le cinque sono comparse anche tartine e bottiglie di vino bianco…) gente entusiasta parlava di scrittura, di editing, di traduzione, e naturalmente di profitti. È stato come passare per un attimo attraverso due sliding doors e dare un’occhiata a quello che sarebbe potuto (e dovuto) essere: spiare cosa sarebbe stato di me se fossi diventata una professionista dell’editoria. Per dissipare una lievissima malinconia ho vagabondato tra gli stand meravigliosi (e affollati) della letteratura per bambini, e ho esaminato i lucidissimi cataloghi delle case editrici che non ti deludono mai: le tedesche Fischer e Suhrkamp/Insel, con le sue preziose copertine; la parigina Gallimard, l’inglese Bloomsbury, e non ultima l’australiana Allen & Unwin, con la sua splendida collezione di libri di Kate Morton. 
E proprio Kate Morton è stata la protagonista del pomeriggio di ieri. Una “firma dell’autore” era prevista alla libreria Hugendubel, dove ho acquistato l’edizione tedesca di The Secret Keeper (già letto in inglese) e, come altri ammiratori di Kate, ho aspettato il suo arrivo in un angolino del negozio, preparato per l’occasione. 
A volta vedere di persona uno scrittore che si ama può essere rischioso: e se risulta arrogante, annoiato, o non sorride mai? Niente di tutto questo è accaduto ieri: incontrare Kate Morton è stata una bellissima esperienza, grazie alla sua gentilezza, e alla sua grande capacità di creare un legame emozionale con i suoi lettori. Come ogni talentuoso narratore, Kate sa incantarti con un paio di frasi: succede nei suoi libri, è accaduto anche ieri. Per iniziare, la scrittrice ha presentato il suo nuovo romanzo, The Lake House, che uscirà alla fine di questo mese: le traduzioni tedesca e italiana sono previste per il 2016, ma, come al solito, io leggerò l’originale – e non vedo l’ora! Il libro, come ha raccontato ieri Kate, è la storia di una famiglia in Cornovaglia (sì, come in The Forgotten Garden) che alla fine di una splendida festa, nel 1933, precipita nella tragedia. Il secondo piano cronologico del romanzo (cifra delle storie di Kate Morton) è ambientato nel ventunesimo secolo: la protagonista è una donna che deve investigare sui misteri di quel passato. Firmando le copie di Die Verlorenen Spuren (The Secret Keeper), Kate è stata così gentile da chiacchierare un po’ con i presenti e rispondere alle nostre domande. 
Tra i numerosi aspetti che mi piacciono dei suoi libri c’è il potere di cui sono impregnati gli oggetti: gioielli, lettere, orologi, libri, abiti, sono spesso cruciali per lo sviluppo della storia, perché aiutano i personaggi e i lettori a spostarsi dal presente al passato, e viceversa. A volte la stessa identità di un personaggio è legata a un oggetto: è il caso della spilla in The Forgotten Garden, ad esempio, o del vestito di Juniper in The Distant Hours. Ho chiesto a Kate se c’è una particolare categoria di oggetti dalla quale si sente ispirata; mi ha risposto che sua madre vendeva oggetti di antiquariato, così sin da piccola Kate è stata attratta da scatole, scrigni, cassetti, e da tutti quegli oggetti misteriosi che possono schiudere una connessione con il passato. I suoi romanzi sono proprio così: bauli di meraviglie, in cui il lettore può provare emozioni forti, lasciarsi trasportare in un altro tempo, ed esercitare tutti e cinque i sensi, perché le storie di Kate Morton traboccano di suoni, di sfumature, di fragranze e di sensazioni tattili. Niente di meglio, adesso, che attendere i misteri, i colori e la musicalità di The Lake House


8 ottobre 2015

Elizabeth von Arnim, qualche lettura dopo

In questo blog compaiono diversi post dedicati alla scrittrice di lingua inglese Elizabeth von Arnim: li ho scritti nel corso di tre anni, in occasione delle letture dei suoi romanzi. Nel frattempo, l’interesse nei confronti di questa “femminista dimenticata” (come l’ha definita The Independent) si è diffuso un po’ ovunque, sia sui blog e sulla stampa sia in ambito accademico. Il mese scorso, a Cambridge, si è infatti tenuto un convegno interamente dedicato a lei, che ha esplorato la sua scrittura nel contesto storico tra i due conflitti mondiali e in quello culturale del fenomeno della New Woman e del Modernismo; le relazioni di von Arnim con i grandi nomi letterari della sua epoca; le influenze austeniane e bronteane nelle sue opere; le forme e i temi della sua scrittura. 
Qualche settimana fa sono potuta tornare a Stralsund (nei cui dintorni si svolge Il circolo delle ingrate) e all’isola di Rügen, dove è ambientato Elizabeth a Rügen (trad. it. di M. Pareschi, sempre edita da Bollati Borighieri). Quest’ultimo è, come recita il suo sottotitolo tedesco, un romanzo di viaggio: l’io narrante parte, in compagnia di una cameriera, per una avventurosa esplorazione dell’isola di Rügen, dove può godere di un paesaggio splendido e dove fa incontri piuttosto insidiosi, che la convincono della (talvolta tragica) comicità del genere umano. «What are men to rocks and mountains?» direbbe Jane Austen. E in effetti le rocce e i prati dell’isola sono di una bellezza così impressionante che persino il pittore Friedrich se ne innamorò, scegliendoli come soggetto di alcuni suoi dipinti. 
1) Cartolina della Berlino del primo Novecento; 2) Hotel Fürstenhof a Sassnitz, Isola di Rügen
3) Piazza del Rathaus di Stralsund; 4) Veduta di Rügen da Stralsund
©IpsaLegitPictures 2015

Dopo aver letto, dunque, tante delle storie generate dalla penna di von Arnim ritorno a parlare di lei, della “donna” che fu, e che traspare inequivocabilmente tra le sue pagine e dai contorni dei suoi personaggi. Elizabeth von Arnim nacque nel 1866 in Australia, con il nome Mary Annette Beauchamp (era la cugina di Kathleen Beauchamp, conosciuta al grande pubblico come Katherine Mansfield); crebbe però in Inghilterra, dove il padre fu un ricco commerciante. Nel 1891, durante una vacanza in Italia, Mary incontrò il Conte prussiano Henning August von Arnim-Schlagenthin, che divenne presto suo marito. La coppia visse per un periodo a Berlino, poi si trasferì in Pomerania, nella Germania settentrionale, ed ebbe cinque figli (uno dei loro tutori fu niente meno che Edward Morgan Forster). Presto però il loro legame si deteriorò, a causa del carattere iracondo del Conte (Elizabeth lo definisce nelle sue opere The Man of Wrath, “L’uomo della collera”), che poi si ritrovò persino in carcere per frode. 
Fu in quel periodo, con lo scopo di guadagnare denaro, che iniziò l’attività letteraria di Elizabeth: il suo primo romanzo, in forma diaristica, ampiamente autobiografico e satirico, è Elizabeth and Her German Garden (Il giardino di Elizabeth, 1898), che con le sue 21 edizioni fu un vero e proprio bestseller (ragion per cui ha fatto la sua comparsa in una delle prime puntate di Downton Abbey – cosa che, a quanto pare, ha risvegliato la riscoperta delle opere della scrittrice). Seguirono The Solitary Summer (Un’estate da sola, 1899), The Benefactress (Il circolo delle ingrate, 1902), The Adventures of Elizabeth in Rügen (Elizabeth a Rügen, 1904), Princess Priscilla’s Fortnight (Una principessa in fuga, 1905), Fräulein Schmidt and Mr Anstruther (Una donna indipendente, 1907). 


Elizabeth rimase vedova nel 1910; per tre anni ebbe una relazione con H. G. Wells, e nel 1916 contrasse matrimonio con John Francis Stanley Russell, fratello maggiore del celebre filosofo, cambiando il proprio nome in Contessa Russell. Nemmeno questa esperienza coniugale fu fortunata, e la coppia si separò nel 1919. Agli anni fra le due guerre risalgono In the Mountains (Uno chalet tutto per me, 1920), ambientato sulle Alpi Svizzere, Vera (1921, considerato il suo capolavoro, e paragonato a Rebecca di Daphne du Maurier), The Enchanted April (Un incantevole aprile, 1922), con il suo lussureggiante setting ligure, Expiation (Colpa d’amore, 1929), The Jasmine Farm (La fattoria dei gelsomini, 1934). Allo scoppio della seconda guerra mondiale Elizabeth si trasferì negli Stati Uniti. Morì a Charleston nel 1941, dopo aver pubblicato ben 21 libri.
Dietro il riflesso di una vetrina di
Stralsund, l'edizione tedesca di
The Benefactress
I sentieri principali che von Arnim percorre all’interno dei suoi romanzi sono la celebrazione del paesaggio naturale, nella maggior parte dei casi rappresentato da fiori, piante e giardini, e il conflitto tra un’identità femminile esuberante e le costrizioni della stantia società borghese. Il continuo ricorrere alla descrizione della vegetazione, talvolta così opulenta da tradire la dirompenza dell’immaginazione dell’autrice, è un evidente medium di espressione della personalità della New Woman del primo Novecento. I colori dei fiori (Il giardino di Elizabeth), le piante intrise di rugiada (Un incantevole aprile), le campagne piene di sole (Un’estate da sola), le porte e le finestre aperte di una casa (Colpa d’amore), il mare solitario (Elizabeth a Rügen) sono simboli della libertà a cui aspiravano queste “nuove donne”, stanche di tutte le forme del giogo patriarcale e finalmente consapevoli della loro possibilità di affermazione nel mondo, e della loro capacità di scegliere la solitudine.