24 gennaio 2021

Le ospiti segrete

Nel giro di un paio di giorni ho letto Le ospiti segrete di John Banville. L'autore, che sto scoprendo a poco dopo averlo conosciuto grazie al suo sequel jamesiano Mrs. Osmond, mi piace tantissimo, per la sua scrittura pulita e la concretezza sintetica del ritratto dei personaggi. 

Le ospiti segrete (Guanda, trad. it. di Irene Abigail Piccinini) è ambientato allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel momento in cui, tra le tante angustie del Parlamento inglese, emerge la preoccupazione della salvaguardia della Famiglia Reale. Se il sovrano e la regina intendono rimanere a Buckingham Palace, per le loro bambine è necessario pensare a una soluzione più sicura. Come tanti altri ragazzini della loro età, quindi, anche Ellen e Mary (i loro nomi in codice) vengono evacuate da una Londra già in fiamme, e spedite in una casa nobiliare sperduta nella campagna al di là del Canale di San Giorgio.

La storia si dipana dunque intorno alle figure isolate dentro questa dimora quasi abbandonata: le sorelle regali, che già dimostrano le loro infinite differenze caratteriali; il vecchio e disilluso padrone di casa, aristocratico in un Paese che non molti anni prima ha versato fiumi di sangue per farsi repubblicano; i sorveglianti delle ragazzine; un manipolo di altre figure di passaggio, ma riccamente delineate, che evocano tutte le sofferenze e le angosce di uno Stato che è in guerra, pur essendosi dichiarato neutrale. 

I due guardiani delle ragazzine, l'agente segreto Celia Nashe e il detective Strafford, sono personaggi interessanti e ben descritti, che raffigurano ciascuno a suo modo la crisi esistenziale patita dagli esseri umani negli anni del conflitto, il senso di disillusione e disperazione, la paura del futuro, la difficoltà di intessere rapporti umani in un mondo in cui prevalgono la sfiducia e la diffidenza verso gli altri. Anche il loro modo di affrontare l'isolamento, e l'assurda responsabilità, quasi epocale, piovuta sulle loro spalle, è diverso, ma in entrambi i casi ci permette un intenso senso di immedesimazione. Come avviene solo quando i personaggi di un libro escono da una penna di grande valore. 


3 gennaio 2021

Buon 2021!

Buon anno nuovo, lettori di Ipsa Legit! L’ultimo weekend festivo sta per concludersi e da domani molti di noi dovranno ricominciare a occuparsi della loro normalità (più o meno strana, date le circostanze). Prima che questo avvenga, dunque, condivido con voi tre recentissime esperienze di lettura, tra loro molto diverse e ciononostante tutte molto interessanti.

Inizio con Prima di noi di Giorgio Fontana (Sellerio, 2020): un romanzo maestoso, che attraversa la storia del Nord Italia, tra Friuli Venezia Giulia e Lombardia, prendendo le mosse dalla Prima Guerra Mondiale per concludersi più o meno ai nostri giorni. Cent’anni di sconvolgimenti storici che investono varie generazioni della famiglia Sartori, tra battaglie, amori, carriere, dolori, timori, rinascite e ripartenze. Un libro davvero importante, che richiede di essere conosciuto per dimostrare come anche la letteratura italiana contemporanea possa raggiungere altissimi livelli di cura della ricerca, di stile di scrittura e di intensità del racconto, mantenendosi fedele a un minimalismo narrativo così stringente da poter essere definito, a mio modo di vedere, semplicemente “puro”. Fontana riesce a definire i suoi personaggi con credibilità, assegnando loro caratteristiche reali e sincere, che ce li fanno sembrare quanto mai autentici: i due fratelli Gabriele e Renzo, che sopravvivono alla seconda guerra; i loro figli, Eloisa, Davide, Libero, che attraversano l’instabilità politica e sociale dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta; i loro figli Davide, Letizia, Dario, costretti a fare i conti con il mondo del nuovo millennio, in cui il conflitto fisico e verbale è diventato psicologico ed emotivo (e non per questo meno devastante). Questa saga familiare di quasi novecento pagine scorre via senza che ce ne accorgiamo, ma una volta girata l’ultima pagina resta difficile da dimenticare: una grande opera di narrativa, che ci illustra una chiave interpretativa del tempo venuto “prima di noi”, fondamentale per tentare di capire non solo la contemporaneità storica e sociale, ma anche quanto la natura degli individui sia plasmata da forze esterne al suo piccolo mondo familiare, che con queste concorrono – o confliggono – per fare di noi quello che siamo.

Di tutt’altro tenore e tutt’altra specie, ma comunque piacevole, è stato Il libraio di Venezia di Giovanni Montanaro (Feltrinelli Marsilio, 2020), che ho inserito anche nella lista del gruppo di lettura scolastico che ho organizzato per gli studenti del mio liceo. Questo piccolo romanzo è il pensiero prezioso di un’etica di sostenibilità che si muove dalla consapevolezza dei pericoli ambientali in cui Venezia versa a causa degli episodi di acqua alta, sempre più frequenti e sempre più gravi, al senso di necessità del preservare l’economia locale, rappresentata in questo caso da una libreria che fatica a sopravvivere. E non manca neppure il richiamo, ispirato agli eventi reali verificatisi in città durante le tremende giornate di acqua alta eccezionale del novembre 2019, all’importanza della comunità e della condivisione. Proprio perché il movente di questo racconto è un avvenimento autentico, di grande impatto sono le pagine che raccontano la sera e la notte del 12 novembre, quando la fragilissima Venezia fu inondata da una marea non prevista di 187 centimetri, con conseguenze tragiche per la sua architettura, per la sua gente, per sua stessa speranza di futuro.

Infine, proprio ieri sera ho concluso la monumentale biografia di Alfred Tennyson scritta da John Batchelor e pubblicata nel 2012 da Chatto & Windus, Tennyson: to strive, to seek, to find (il titolo riporta uno dei versi più celebri, tratti da “Ulysses”). La vita del Poeta Laureato è percorsa nel dettaglio, dall’infanzia alla morte, con interessanti apparati critici circa le opere maggiori e una straordinaria capacità di fotografare il mondo in cui Lord Tennyson visse e scrisse: il poeta è definito un “romantico fuori dal Romanticismo” e allo stesso tempo il sublime interprete del Vittorianesimo al suo culmine. Le sezioni più belle della biografia, infatti, sono quelle che rappresentano, con tratti quasi caldi e pittorici, le amicizie del poeta ai tempi dell’università e poi i contatti con la rutilante società culturale della metà dell’Ottocento britannico – Thackeray, Browning, Ruskin, i Preraffaelliti – fino ai suoi interessi per la geologia e il suo essere protagonista, come soggetto, della nuova arte della fotografia. La nostalgia incerta per il medioevo arturiano, la costruzione di una famiglia centrata sulla figura del maschio artista, la sfiancante rincorsa della fama, la ricerca della casa perfetta (trovata sull’Isola di Wight), le corrispondenze emotive con la sovrana: tutti questi aspetti hanno fatto di Lord Tennyson l’emblema di un’era, e leggere la sua biografia equivale ad assistere alla vivida rievocazione del mondo ormai sopito della Regina Vittoria.