20 giugno 2020

I Goldbaum

Nella mia città ai piedi delle montagne i pomeriggi sono spesso grigioperla e freschi di pioggia. Non c’è niente di meglio di un temporale estivo per immergersi completamente in un buon romanzo: negli ultimi tre giorni io ho scelto I Goldbaum (House of Gold) di Natasha Solomons, pubblicato in italiano nel 2019 da Neri Pozza, con traduzione di Laura Prandino. I Goldbaum è la storia di una famiglia unica nella sua specie, che ha disegnato la macrostoria dell’Europa nella transizione tra Otto e Novecento: per scriverla, l’autrice ha tratto dichiaratamente ispirazione dalle vicende dei Rothschild, dinastia di origine ebraica che affondò le proprie radici in Germania, Austria, Francia, Napoli, Svizzera e Inghilterra e con la fondazione di banche sparse per l’Europa e grande talento per la finanza, diede forma economica, nonché respiro culturale, all’intero continente. 
Il libro si legge fluidamente, perché è scritto (e tradotto) in una lingua che è puntuale e ricca di dettagli, ma allo stesso tempo liscia e molto godibile. Ciascuna delle sue sezioni, che abbracciano un arco temporale compreso tra il 1911 e il 1917, riserva diversi motivi di interesse: dal sacro legame tra i vari rami della famiglia all’enumerazione delle loro ricchezze, dalla descrizione delle loro tradizioni al loro coinvolgimento negli affari finanziari e politici dei governi europei, dalla trattazione delle loro debolezze alla disamina del loro rapporto con se stessi. I personaggi maschili, anche quelli che passano sulla scena solo parzialmente, sono rotondi e reali: il viennese Otto Goldbaum, con il suo incrollabile spirito di servizio, contrasta fortemente con il cugino Henri e il suo gusto tutto parigino per la modernità; e gli inglesi Albert e Clement Goldbaum rappresentano una coppia distintamente novecentesca, in cui il primogenito è, storicamente e letterariamente, un inetto che non sa far altro che lasciare ogni responsabilità al fratello minore. 
Un altro aspetto importante di questo romanzo è la presenza femminile, che si moltiplica in personaggi secondari ma non minori, come Lady Goldbaum o la giardiniera Withers, ma sicuramente si raddensa nella figura di Greta, l’austrica nata Goldbaum e sposata a un Goldbaum inglese, che incarna la transnazionalità del cognome che porta. Greta è stata una bambina vivace e una ragazzina ribelle e anche da moglie quasi aristocratica non permette al mondo di darla per scontata: di lei questa storia ci racconta la bellezza, le trasgressioni, le sofferenze, ma è nella sua relazione con lo spazio che la circonda che ci vengono offerte le sue immagini più vivide e indimenticabili. In particolare, nei primi anni del suo critico matrimonio d’interesse, Greta è insofferente alla vita chiusa e regolata dalle decine di orologi della casa di suo marito e decide quindi di spostare se stessa, la propria anima e tutta la propria potenzialità d’azione (di donna e di personaggio) fuori, sotto il cielo, in un giardino ideato e nutrito da lei con il contributo di altre donne che travalicano i confini degli schemi predefiniti. 
I giardini di questo libro sono dipinti di parole e ci restituiscono tutti i colori, le pieghe, le curve e gli odori della natura reale: “osservava quel luogo come se fosse la prima volta. Attraverso la vegetazione incolta alzò lo sguardo verso il vecchio edificio […], la facciata d’arenaria era quasi del tutto coperta da un enorme e antico glicine. Trecce di Clematis montana si arrampicavano a festoni fino al tetto. Molte delle finestre erano senza vetri e gli uccelli entravano e uscivano indisturbati; […]. Quella villa sembrava venuta fuori direttamente dal terreno, come se fosse esistita da sempre in quell’ansa fertile del fiume, con i convolvoli e le foreste di soffioni che spuntavano ovunque”. Il giardino come metafora della femminilità è un motivo antico e ricorrente, soprattutto nella scrittura delle donne. Nel libro di Natasha Solomons la sua presenza così rilevante, così prepotente da uscire quasi dalle pagine, è anche la rappresentazione di un ideale di vita a ogni costo, di resistenza, di dominio nel procedere indefesso dello spazio naturale anche oltre le vicissitudini (spesso foriere di morte) decise dagli uomini. La scena conclusiva del romanzo, non a caso, si scioglie in una serra dove, a dispetto della neve novembrina di fuori, i personaggi ritrovano il calore perduto sotto una volta di candidi fiori di ciliegio. 

12 giugno 2020

Verso l'estate

Le lezioni sono finite, anche quest'anno. Un anno scolastico un po' così, anche se gridare alla catastrofe è inutile e insensato. Nelle ultime settimane sono riuscita a finire tre libri, molto diversi l'uno dall'altro: il saggio 1913, l'autobiografia di Michelle Obama e un romanzo consigliato da Waterstones, che lo definisce un "campus mystery", The Truants
Il saggio 1913. L'anno prima della tempesta di Florian Illies (Marsilio) è un funambolico esperimento di viaggio nel tempo, per essere trasportati nella Storia ma anche nella quotidianità dei nomi esagerati che tutti insieme rivoluzionarono la (Mittel)Europa all'immediata vigilia della prima guerra. L'autore ci racconta Vienna, Parigi, Monaco e Berlino nei dodici capitoli segnati dai mesi di quell'anno fatale, rappresentando o semplicemente immaginando, talvolta con note romanzesche e sempre con molto divertimento, incontri epici: Freud e Jung, Picasso e Matisse, Thomas Mann e un tappeto difettoso, Kafka e Felice, Benn e i cadaveri sul suo tavolo, ma anche Francesco Giuseppe, Kandinskij, Tucholsky, Gertrude Stein, Proust e infiniti altri. Si tratta di un saggio davvero coinvolgente, che ci mostra il fascino di un anno e di un'epoca incredibili in un continuo andirivieni di osservazioni dall'alto e da lontano (com'è giusto che sia per un saggio storico) e di sguardo più intimo e ravvicinato, quasi sotto il microscopio, sulla vita "normale" di personaggi straordinari.
L'autobiografia di Michelle Obama, Becoming, mi è piaciuta molto nella sua prima parte, nel racconto dell'infanzia, della vita giovanile e degli anni universitari: è il racconto di una strada non sempre fluida, che però, grazie alla determinazione di due genitori radicalmente ottimisti (nonostante tutto) e a qualche deviazione anche fortuita da un cammino probabilmente già scritto, ha portato Michelle a "diventare" (appunto) quel che è diventata. Ho trovato appassionante il resoconto della campagna elettorale del 2008, che è stata e resterà un miracolo; sempre meno avvincente, invece, la narrazione degli anni da First Lady, che forse avrebbe potuto essere più concentrata sul valore altamente politico di quel ruolo e di quella posizione, e non esclusivamente sui numerosi impegni di mamma lavoratrice e moglie del presidente, sull'enumerazione dei nomi degli assistenti, sulle ripetizioni a volte eccessive, secondo me, del senso di soffocamento dovuto a una vita trascorsa fra le guardie del corpo. In questa seconda parte mi è mancato un po' il gusto della scrittura, e il libro, da raccolta di memorie, è diventato più un report di ricordi (differenza sottile, forse, ma incisiva per un lettore). 
Oggi ho terminato un'altra lettura "a mezza via", che per certi versi mi è piaciuta molto, soprattutto per la qualità della scrittura, per altri mi ha annoiata un po'. Il romanzo è The Truants, opera prima di Kate Weinberg: Jess Walker è una studentessa di letteratura a Cambridge, che attratta dalla fama di una docente si iscrive a un corso su Agatha Christie. Un principio intelligente, questo, che speravo di veder sviluppato molto di più, perché ero incuriosita dalla prospettiva di leggere questa autrice così celebre in ottica accademica. L'idea, invece, è svaporata abbastanza in fretta: la storia si spiralizza intorno alle vicende personali della narratrice (con qualche flashback non completamente utile) e il mistero che tiene in piedi il libro si sfilaccia un po', soprattutto in una sezione di ambientazione italiana eccessivamente stereotipata e non del tutto funzionale alla trama. Appena chiuderò questo post, dovrò scegliere cosa leggere adesso: la decisione spazia tra un saggio di Bill Bryson, un giallo di Carlo Lucarelli, un romanzo storico o il nuovissimo The Jane Austen Society di Natalie Jenner: particolarmente suggestivo in questi giorni, quando la casa museo di Chawton sembra a rischio di chiusura. Un'opportunità in più per ripensare a quanto il patrimonio collettivo sia importante anche per la dimensione privata di ognuno di noi.