17 luglio 2017

I piccoli piaceri della vita

Ieri, nello spazio di una sera, ho letto La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita di Philippe Delerme (Frassinelli, trad. dal francese di L. Prato Caruso). È un libretto minuscolo, adattissimo a una sera d’estate in terrazzo, con il sole che tira tardi dietro le colline e tanto silenzio intorno. Ogni suo capitolo è dedicato a ciò che l’autore definisce “un piacere della vita” – un oggetto, o un’occasione, sempre densi però di ricordi d’infanzia, e di richiami a una nostalgia insopprimibile e dolcissima. Lo stile è quello fotografico degli istanti, delle impressioni: sono capitoli di una manciata di righe, che proprio per la loro brevità sono capaci di rievocare intensissimi i colori di un’immagine: il nero succoso delle more da raccogliere, il verde tenero dei piselli da sgranare, la maglia giallo acceso del Tour de France, il bianco delle boule de neige. Ma tutti i sensi sono coinvolti in questa catalogazione del piacere malinconico degli oggetti. 
Da diversi mesi sto lavorando sulla valenza memoriale e psicologica che “le cose” assumono nella nostra vita quotidiana: è stato questo il motore della ricerca per la stesura dei miei ultimi saggi (Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana e Le case di Jane Austen) ed è sempre questo il centro degli scritti di cui mi sto occupando attualmente. Ci sono oggetti che assorbono una parte di noi, e che ce la restituiscono ogni volta che li guardiamo e li tocchiamo. Il libretto di Philippe Delerme ci parla proprio di questo, della comunicazione con noi stessi che intratteniamo quando percepiamo un certo odore, ritroviamo un certo oggetto, posiamo lo sguardo su un certo gioiello – quando sentiamo, direbbe qualcuno, l’aroma di una madeleine. Una comunicazione che riesce ad annullare, per un attimo, le tracce del passare del tempo.
Foto scattata alla fiera dell'antiquariato di Neuchâtel
Scrive Delerme che in questi istanti, «in questo presente gratuito, sonnecchia il passato»; evoca i marciapiedi deserti della domenica, quando si esce prima di tutti gli altri per comprare le paste o le brioche; richiama il nitore perfetto della «cucina delle undici, la cucina dell’acqua fredda, delle verdure mondate»; dice che «l’odore delle mele è doloroso. È l’odore di […] una lentezza che non meritiamo più»; indugia sulla scelta della tinta di un maglione nuovo per l’autunno, per «comprare il colore dei giorni»; e ritrova, come succede sempre anche a me, il conforto di un romanzo di Agatha Christie, dove, nonostante il delitto, «tutto è calmo. Gli ombrelli sgocciolano nell’entrata e una cameriera dalla pelle di latte si allontana sul parquet biondo lucidato con la cera d’api».

5 luglio 2017

Avremo sempre Parigi

In queste lunghe e calde sere estive, magari dopo una dura giornata di lavoro, c'è sicuramente bisogno di sognare un po'. Sognare passeggiate al fresco, musica lieve lungo le strade, un bicchiere gelato al tavolino di un bistrot. Il libro adatto per simili rêveries è Avremo sempre Parigi di Serena Dandini, una raccolta di "camminate sentimentali" ispirate ciascuna a una delle icone della città. 
L'ho trovato un libro davvero bello, scritto con semplicità e avvolgente come una nuvola di lino, con qualche filo di malinconia intrecciato qua e là tra le righe. Non si raccontano i luoghi già noti, ma le retrovie di Parigi, che sprigionano il ricordo e quasi la presenza fisica dei personaggi che hanno fatto la grande storia della ville lumière. Suggestive sono le decine e decine di citazioni letterarie, che ci restituiscono proprio la vitalità artistica e poetica della città e che l'autrice sparge a piene mani nel suo testo, trasformandolo in una specie di affascinante antologia.
Foto: (c) IpsaLegit 2015 
Muovendosi con grazia tra le voci del suo "disordine alfabetico" - Bistrot, Halles, Impressionisti, Fiori, Passages... - si leggono le storie di Wilde, Hemingway e Dumas, si assaporano gli aromi della Brasserie Lipp, della Closerie des Lilas, del Deux Magots e delle pasticcerie di lusso, si odorano le fragranze dell'erba dei giardini e delle profusioni di fiori al Luxembourg o al Jardin des Plantes, si sprofonda nei colori del Museo Marmottan e delle Ninfee all'Orangerie, si toccano libri invecchiati, fotografie vintage e i tessuti preziosi del Musée de la Mode, si ammirano i negozi nascosti incastonati nei Passages, si assaggiano con la mente le madeleines della nonna di Proust e si vaga pensosi tra le fila di tombe illustri dei cimiteri. Ci si trasforma, insomma, in emozionati flâneurs.

Le Ninfee di Claude Monet. Foto: (c) IpsaLegit 2015

Scrisse Sciascia che le terrazze dei bistrot parigini "fiorivano di tavoli rotondi dalle gambe sottili, e i camerieri avevano l'aspetto dei giardinieri, e quando versavano il caffè e il latte nelle tazze pareva annaffiassero delle bianche aiuole". E Baudelaire: "È una gioia senza limiti prendere dimora nel numero, nell'ondeggiare, nel movimento, nel fuggitivo e nell'infinito. Essere fuori di casa, e ciò nondimeno sentirsi ovunque nel proprio domicilio". 
Foto: (c) IpsaLegit 2015
Chiudiamo gli occhi, allora, e sulla scia di una frase di Simenon immaginiamo "la Senna che scorreva al di là degli alberi, i battelli che passavano, le macchie chiare dei vestiti delle donne sul Pont Saint-Michel".

In questo blog sono più d'uno i post dedicati a Parigi. Per scoprirli, cercate l'etichetta La serie parigina. 
Della Parigi di Edith Wharton ho scritto un pezzo per Turismoletterario.com: http://www.turismoletterario.com/blog/edith-wharton-a-parigi/