31 dicembre 2013

Buon anno!

Ai miei cari lettori che mi hanno accompagnata lungo tutto il 2013 tanti auguri per un prospero anno nuovo! Poiché tra i buoni propositi per una nuova era che inizia non possono mancare le letture, ecco un elenco di libri che ho amato tanto e che mi piacerebbe consigliarvi per il 2014. I vostri suggerimenti sono come al solito i benvenuti!
Spero di ritrovarvi affezionati e numerosi come sempre anche il prossimo anno! Un abbraccio a tutti...
Gennaio: mentre ancora infuria l'inverno, Con gli occhi dell'Occidente di Joseph Conrad  
Febbraio: per il mese dell'amore e della passione, Una lontana follia di Kate Morton
Marzo: la delicatezza della primavera che avanza mi suggerisce Le ali della colomba di Henry James
Aprile: è ora di leggere o rileggere Gita al faro di Virginia Woolf
Maggio: festeggiamo il bicentenario della pubblicazione di Mansfield Park di Jane Austen
Giugno: sono passati cent'anni dalla pubblicazione di Gente di Dublino di James Joyce
Luglio: iniziano le celebrazioni in ricordo dello scoppio della prima guerra mondiale. Partecipiamo con Il ritorno del soldato di Rebecca West
Agosto: ci rilassiamo un po' con Assassinio sul Nilo di Agatha Christie
Settembre: festeggiamo il mese della vendemmia leggendo Un'ottima annata di Peter Mayle
Ottobre: per il mese gotico per eccellenza, Il discepolo di Elizabeth Kostova
Novembre: a questo mese si adattano le atmosfere malinconiche de L'età dell'innocenza di Edith Wharton
Dicembre: speranza e magia ne La tempesta di William Shakespeare
Foto di Mara Barbuni

17 dicembre 2013

Jane Austen: i luoghi e gli amici

Ci sono viaggi che si fanno prima con il cuore, poi con le gambe, poi con le parole, e infine con i ricordi... e ogni volta i compagni che ci affiancano nel nostro cammino sono diversi.
In questi anni di riscoperta critica della letteratura di Jane Austen (dopo una prima lettura delle sue opere al liceo) ho desiderato visitare i luoghi che sono teatro della sua vita e della sua scrittura, e per una piccola parte ho realizzato quel sogno: ho visto Chawton Cottage (dove lavorò alle bozze di Ragione e sentimento e di Orgoglio e pregiudizio e dove scrisse Emma, Mansfield Park e Persuasione), la cattedrale di Winchester, dove la scrittrice è sepolta, Bath (con il suo Jane Austen Centre e le sue scenografie per Northanger Abbey) e Lyme Regis (dove è ambientata una parte di Persuasione). Sono però ancora molte, e molto importanti le tappe degli andirivieni di Jane Austen su e giù per l'Inghilterra meridionale che non ho ancora potuto conoscere: innanzitutto il prato dove sorgeva il rettorato di Steventon (dove Jane venne alla luce) e poi Chawton House e Godmersham Park (nel Kent), le dimore signorili del fratello Edward dove l'autrice trascorse frequenti e lunghissime porzioni della sua vita.
Ma di recente ho potuto fare un viaggio con le parole che mi ha consentito di vedere con l'occhio del cuore tutti questi luoghi, e anche molti di più. L'"agenzia di viaggi" che mi ha dato questa opportunità è stata JASIT, la Jane Austen Society of Italy (che ho contribuito a fondare insieme a Giuseppe Ierolli, Silvia Ogier, Gabriella Parisi e Petra Zari), con la collaborazione della casa editrice Jo March (di Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci, che con la collana "Atlantide" stanno riscoprendo un intero mondo sommerso di gioielli letterari). Tutti noi, spinti dal comune intento di diffondere una conoscenza sempre più profonda di Jane Austen nel nostro Paese, abbiamo lavorato alla traduzione in italiano di uno splendido travelogue compilato nel 1901 dalle sorelle Constance ed Ellen Hill, l'una scrittrice e l'altra illustratrice.
In Jane Austen: i luoghi e gli amici, un resoconto originale ed emozionato che cita brani dai romanzi e dalle lettere, ma anche da testi biografici scritti dai parenti di Jane Austen e ancora pressoché sconosciuti in Italia, le sorelle attraversano quella che loro stesse per prime chiamano "Austenland", in un viaggio che parte da Steventon, prosegue per Bath, tocca Lyme, Southampton, Manydown, Godmersham, Stoneleigh Abbey, Londra e approda allo scrittoio presso la finestra del Chawton Cottage.
Bellissimo è il ricordo dell'avventura della traduzione stessa e poi della sua trasformazione in un vero e proprio libro (acquistabile dal 16 dicembre, giorno del compleanno di Jane Austen, su www.jomarch.eu e in seguito in moltissime librerie italiane). Noi di JASIT ci siamo divisi il lavoro, occupandoci di tradurre un gruppo di capitoli ciascuno e poi scambiandoci i risultati per operare un controllo incrociato degno dei migliori e più attenti revisori! Le discussioni, le proposte, i dubbi, il lavoro di annotazione svolto spulciando fonti e archivi di tutti i tipi hanno reso la traduzione di questo libro ancora più accurata e più preziosa. Anche la scelta della copertina ha richiesto il suo tempo e la sua elaborazione: la fotografia, e il colore finale, ci hanno tenuti incollati al computer per ore, per giorni.
Il giardino del Chawton Cottage.
Foto di Mara Barbuni (2007)
Per non dire della volata finale prima della stampa, con la revisione delle bozze e un'atmosfera di entusiasmo, di gioia, di amore per la conoscenza e la condivisione che ci ha accompagnati fino al giorno della pubblicazione (e resisterà, di certo, a lungo...). Ringrazio allora i miei compagni di viaggio per quanto mi hanno insegnato in questo percorso, e anche per avermi permesso di tradurre uno dei capitoli ai quali ero più legata: quello su Lyme Regis, che per me è un luogo magico e affettivamente molto importante, per quel suo essere un paradiso letterario e geologico insieme. Vi invito dunque a entrare attraverso questa soglia e a seguirci, sulla scia del viaggio di Constance ed Ellen Hill, sulle orme di Jane Austen.

13 dicembre 2013

Sherlock Holmes nella Casa della Seta

Tutti gli appassionati di Sherlock Holmes lo sanno e aspettano con trepidazione: il 1 gennaio su BBC One comincia la terza stagione di Sherlock, la serie che finalmente ha dato al celeberrimo detective di Conan Doyle una vitalità ben definita, elegante, dignitosa, e ben aderente alla genialità del personaggio letterario. Se a pensare a Sherlock Holmes sullo schermo vi vengono in mente la serie della CBS Elementary (in cui un bravo Jonny Lee Miller dà il volto a uno Sherlock devastato dagli stupefacenti residente a New York e Watson è - terrificante - una donna) o, peggio ancora, i due film di Guy Ritchie con Robert Downey Jr. e Jude Law (che però è un dottor Watson fedele alla rappresentazione che ne danno i romanzi di Conan Doyle), in cui la straordinaria intelligenza del detective è oscurata dalle improbabili carambole di un film d'azione in costume, andatevi a cercare Sherlock, il cui valore narrativo, di regia e di interpretazione è davvero insuperabile.
Basti dire che ogni episodio è una modernizzazione di un racconto/romanzo di Holmes, che recupera le simbologie e gli elementi più forti dell'opera letteraria e rielaborandoli senza mai tradirli costruisce un impianto sorprendente e tutto nuovo (tanto per dire, Watson, che come il suo antenato è stato ferito in Afghanistan - corsi e ricorsi storici... - non scrive libri, ma tiene un blog). Il solo aspetto che si discosta nettamente da Conan Doyle è l'insistita presenza di Moriarty, che la scrittura ha portato sulla scena una volta sola, mentre nella serie è un personaggio incombente, ricorrente, anche solo per sottintesi (ma l'attore che lo interpreta è talmente talentuoso che perdoniamo agli autori questa libertà!).
Insomma, in "onore" della ripresa, attesissima da tutti, di questa serie, ho letto negli ultimi giorni The House of Silk (La casa della seta, trad. it. Mondadori, 2012) di Anthony Horowitz, il primo autore contemporaneo - già famoso giallista - cui la Conan Doyle Estate Ltd., che detiene i diritti d'autore sul personaggio, abbia consentito di scrivere un libro con Sherlock Holmes come protagonista. Premesso che raggiungere le altezze di Arthur Conan Doyle è praticamente impossibile, il libro si distingue per alcuni aspetti positivi: il detective è rappresentato abbastanza bene, e il soffermarsi sul lato umano del suo carattere non ne disturba la figura sempre algida e brillante; Watson, che come da tradizione scrive in prima persona, è un carattere appassionato, pieno di dubbi e di contraddizioni, di paure, di speranze e di rimpianti che ne fanno un perfetto uomo tardo-vittoriano; l'inglese è semplicemente bellissimo; Londra è dipinta meravigliosamente, soprattutto negli angoli ombrosi che l'hanno resa un simbolo del gotico fin-de-siècle:
"Un corvo nero e cencioso era appollaiato sul ramo di un albero, ma non c'era altro segno di vita. La luce stava scemando rapidamente, eppure le lampade non erano ancora state accese e io avvertivo un senso di ombre dentro le ombre, di un mondo quasi privo di qualunque colore"; "La prigione era di stile gotico; alla prima occhiata appariva come un castello dalla forma irregolare, minacciosa, come uscito da una fiaba scritta per un bambino malvagio. [...] consisteva di una serie di torrette e comignoli, pennoni e mura merlate, con una sola torre che si slanciava verso l'alto e sembrava quasi sparire dentro le nuvole". (Qui e altrove le traduzioni dall'inglese sono mie.)
Cionondimeno la struttura narrativa, bisogna ammetterlo, è un po' confusa: lo schema di fondo che mi è parso di scorgere, quello cioè di una costruzione a "scatole cinesi" (una trama che si incastra dentro un'altra), non è gestito troppo sapientemente, e si ha come la sensazione che l'autore abbia a un certo punto cambiato idea e abbia iniziato a raccontare un'altra storia - anche se poi alla fine i fili si riuniscono e al lettore sono offerte soluzioni a tutti gli enigmi. In conclusione, la caratteristica più meritevole di questo romanzo è un passo di metafiction in cui Watson dà voce a una interessante riflessione sulla propria attività letteraria, sulla forza dei propri principi morali e sull'eguaglianza degli esseri umani nel momento del disastro: "E' curioso pensare oggi, proprio alla fine della mia carriera di scrittore, che ognuna delle mie cronache è terminata con lo smascheramento o l'arresto dei criminali, e che dopo quel punto, quasi senza eccezione, io ho semplicemente presunto che il loro destino non sarebbe più interessato ai miei lettori e li ho abbandonati, come se solo la condotta illecita avesse giustificato la loro esistenza e come se, una volta risolto il caso, questi non fossero più esseri umani con un cuore sofferente e uno spirito distrutto. Non ho mai una sola volta preso in considerazione la paura e l'angoscia che essi devono aver provato attraversando le porte a vento [della prigione] e percorrendo i suoi cupi corridoi. Qualcuno di loro ha mai pianto lacrime di pentimento, ha mai pregato per ottenere la salvezza? Qualcuno di loro è mai fuggito? A me non interessava. Non faceva parte della mia narrazione." 
 
 

4 dicembre 2013

Ritratto di signora

Non è mai facile rispondere alla domanda "Qual è il tuo romanzo preferito?", anzi, sembra impossibile. "Preferito", poi è un aggettivo inadatto a classificare una lettura. Però, se proprio ci si deve pensare, e si passano in rassegna gli affollati archivi dei propri ricordi, qualcosa fa capolino, torna costantemente sotto l'occhio di bue della nostra attenzione, e alla fine si impone. Magari non sarà il romanzo "preferito", ma di certo sarà un libro che ha contribuito a forgiare la nostra visione delle cose e della scrittura. Nel mio caso si tratta di Ritratto di signora (The Portrait of a Lady) di Henry James. Perchè? Altra domanda ostica. Non so elencare i motivi di questa scelta, ma so per certo che è un romanzo traboccante di bellezza....
Nella piana di Gardencourt ondeggiano i fiori lievi, sospinti dal vento del crepuscolo; il Tamigi scintilla lontano, e nell’aria tersa si espande il silenzio. È la prima cornice del ritratto di Isabel Archer, una "rara apparizione" che racchiude nella sua intatta bellezza le profondità azzurre del fiume, e insieme la quiete del tardo pomeriggio. Tre uomini assistono all'epifania di questa bellezza, e usciti d’un tratto dall’ombra più o meno tragica delle loro sorti, prontamente respirano la freschezza di Isabel e si incantano di lei. La vita terrena del signor Touchett va disperdendosi nel silenzio dei giorni, e così il suo attaccamento alla nipote è solo mormorato, fievole, un ultimo soffio d’affetto prima dell’ultimo viaggio. Anche Ralph è gravemente malato, e poche sono le speranze che lo trattengono nella mondana esistenza. Isabel è per lui un colpo al cuore, una folgorazione inattesa: d’ora in poi egli vivrà per vederla, e null’altro, per contemplare tacitamente la sua espansione nel mondo invocando grandi promesse di libertà. E tuttavia il vero innamorato non è colui che solo osserva, ma colui che agisce, come lord Warburton: James non racconta il procedere del suo sentimento, bensì narra la raffinata potenza del suo esito nel momento supremo della dichiarazione alla donna. La conosce solo da poche ore ma il calore che lei irradia, luminosa come una stella nuova, l’ha già avvinto per l’eternità: "Per la vita, signorina Archer, per la vita". La dolcezza di Warburton, già nostalgica nell’istante stesso della sua espressione, eleva l’acutezza della sua sofferenza, che ogni innamorato respinto saprà interpretare come propria; la dignità del Pari inglese, scalfita dal rifiuto, è destinata a una perpetua ascesa. Ma l’istante contemplativo della loro convivenza è ormai estinto, nell’incompatibilità degli affetti, e d’ora innanzi la giovane e il lord non potranno più incontrarsi senza che l’aria dintorno si contamini di un sordo dolore, di un rimpianto irrisolvibile e della percezione stessa della rottura dell’incanto. Isabel, sospinta dalla sua ardente immaginazione, è tesa all’andare, all’indagine inesauribile dell’universo storico e artistico nonché della piccola mondanità sorretta dalle reti della alta conversazione. Isabel abbandona Gardencourt perché la sua mente  è troppo vasta, e tra quegli angusti confini, sebbene confortati da giuste amicizie, rischia di soffocare. È l’Italia l’eden da guadagnare, e la giovane vi si abbandona con l’impeto d’esplorazione di un’anima ancora in boccio e desiderosa di maturazione. Il fiore è ancora chiuso, turgido, fragrante nella sua ignoranza delle cose, misterioso nella sua altissima moralità. Da Firenze i movimenti di Isabel si aprono all’Oriente, lo percorrono, ne tornano via con frenetico affanno, come fossero un dovere, e la strenua fatica di allontanarsi dai suoi corteggiatori si fa insistente, ossessiva.
Isabel celebra la propria libertà finanziaria e immaginativa nell’esodo, dai bagliori dei tiepidi tramonti sull’Arno alle vette d’oro delle Piramidi che sprofondano nell’azzurro – mentre il bocciolo s’ingravida di conoscenze e sensazioni, lentamente s’incrina, esala fragranze dolcissime, e sfuggono piano alla sua stretta le cime dei petali screziati. Di colpo la giovane si scopre stanca di viaggiare, di quella fuga dall’amore: per giunta, c’è in Italia il seme di una nuova amicizia, il bandolo di un legame abbandonato e nondimeno sempre pulsante nel cuore. L’amore per Osmond è l’estate dei sensi per Isabel Archer: l’alcova dove elargire la sua bontà e dove rifugiare le aspettazioni, nutrendo a piene mani la fantasia. Isabel non cede alle ragioni oppostele dalla signora Touchett o da Ralph, e a dispetto di quella fresca presunzione con cui un tempo aveva respinto uomini chiari, seri, dal cuore ampio, la giovane sceglie Gilbert Osmond, creatura fragile come uno specchio ingannatore, la confederazione delle ombre, degli sguardi sottili, dal sorriso sfregiato dal sarcasmo. Lo sceglie perché in lui spera di trovare la forma perfetta della gratificazione e il piacere dell’intervento disinteressato che ambisce a bonificare un terreno incolto e nascostamente malsano. Caspar Goodwood e lord Warburton erano come vasti campi di sole dove perdersi nella spensieratezza di una corsa a perdifiato verso l’orizzonte; ma Isabel ne è stata distratta dalla trappola dell’immaginazione perversa dall’egotismo, che la scaglia contro una reale infelicità. In questa infelicità non respira nemmeno la speranza, poiché l’orgoglio innalza cancelli di scuro ferro intorno al suo palazzo romano, sempre infestato da visitatori ciarlanti e mai, mai rallegrato – com’era la lontana Gardencourt, lontana nelle miglia e nei ricordi – dalla pacata e spesso tacita amicizia di grandi uomini. La luce di Isabel, così calda e intensa, che era solita dilatarsi nella spaziosità di anime elette, è ora confinata tra le feritoie di una casa maritale sovraccarica di cose morte e facce stantie, come una necropoli dimenticata. Il suo ritratto è ora vestito di nero, ed è il vano squadrato di una porta antica a incorniciarlo.
La campagna del Somerset.
Foto di Mara Barbuni (2007)
I declivi verdi della campagna, i richiami delle rondini sul cielo striato della sera, la meraviglia delle pietre antiche e dei dipinti eccelsi defluiscono nelle lacrime rade della donna, il solo splendore che lei possa ancora emanare. La morte di Ralph, il caro Ralph, raccoglie nel suo freddo ventre le ultime gocce della passione di Isabel e la deposizione ultima degli alti voli della sua fantasia. Isabel ha perduto la sua capacità immaginifica, e nondimeno rimane una creatura poetica, nell’afflato di nostalgia degli sguardi lontani, nel racconto appena intonato del suo dolore, e nelle sue memorie, quando, di tanto in tanto, ricorda Gardencourt, "qualcosa di sacro, con quelle immense camere scure dove l’edera cupa frastaglia gli stipiti delle finestre luminose".