17 febbraio 2016

Vita di Charlotte Brontë

Quest’anno, il prossimo 21 aprile, si celebra il bicentenario della nascita di Charlotte Brontë. È l’occasione giusta per leggere o rileggere la biografia che di lei scrisse Elizabeth Gaskell, iniziata praticamente all’indomani della notizia della morte dell’amica (di recente Castelvecchi Editore ha ripubblicato la traduzione di Simone Buffa di Castelferro, Vita di Charlotte Brontë, da tempo fuori commercio). Dal mio punto di vista il libro è la dimostrazione del fatto che Charlotte visse un’esistenza da romanzo, per certi versi anche più vivida e più interessante di quella dei suoi personaggi (che per me sono davvero difficili da amare); di certo la sublime scrittura di Gaskell ha la capacità di fare di lei un carattere squisitamente letterario, grazie a pennellate di colore e a schizzi ben delineati che riportano in vita paesaggi, volti, voci, movimenti e intensi desideri. Fu il padre di Charlotte a chiedere a Elizabeth Gaskell di scrivere questa Vita: la fama di “Currer Bell” al momento della sua morte era grandissima, ed esisteva il rischio concreto che venissero diffuse delle biografie non autorizzate. Benché impensierita dall’importanza della missione, Elizabeth accettò l’incarico e ci lavorò con ardore, con il consueto impegno, e, purtroppo per lei, anche con un pizzico di imprudenza. La pubblicazione destò entusiasmi ma anche malcontento da parte di alcune delle persone coinvolte (in primo luogo l’amante del fratello di Charlotte, Branwell) e dovette essere revisionata e in alcune parti riscritta, sotto la minaccia di spiacevoli azioni legali. 
Il Rettorato Brontë a Haworth (foto di Mara Barbuni, 2014)
Quel che conta, però, è, come dicevo, la bellezza purissima dello stile, che crea sezioni di enorme respiro e, d’altra parte, si concentra sulle perfette ed emozionanti miniature di una vita che sono così tipiche della scrittura gaskelliana. Dopo un’introduzione dedicata all’esplorazione geografica, culturale e anche folkloristica dello Yorkshire – necessaria, secondo la biografa, per comprendere fino in fondo l’animo di Charlotte – impariamo a conoscere i primordi della famiglia Brontë; ci affezioniamo a figure secondarie che il talento narrativo di Gaskell rende speciali, come la domestica Tabby e il cartolaio di Haworth; osserviamo le aule scolastiche in cui Charlotte studiò, visse e insegnò. Vediamo la scrittrice da vicino, scrutando le iridi ricche di sfumature dei suoi occhi splendenti («non vidi mai nulla di simile in altra creatura umana») e le dita lunghe e delicate. Scopriamo che raramente si lasciava andare a nutrire speranze per il futuro. Sbirciamo fra le librerie del Rettorato, ritrovandovi volumi di Southey, di Wordsworth, di Walter Scott, di Ruskin. Leggiamo decine e decine di sue lettere. Ci fa stringere il cuore il pensiero di cosa Elizabeth scoprì quando si recò a Bruxelles a conoscere Monsieur Heger, il suo professore. Tremiamo nell’assistere alle crisi di astinenza di Branwell, ormai dipendente dall’alcol e dall’oppio. Ma, soprattutto, ho trovato commovente il ritratto di Emily, la geniale Emily Brontë, che si occupava delle faccende domestiche e impastava il pane leggendo, e non sapeva stare lontano dalla sua brughiera: «ai suoi occhi, negli angoli più cupi della landa sbocciavano i più vividi fiori. […] Nella solitudine trovava le più rare delizie; e certamente, non ultima, anzi, la più amata, la libertà. La libertà era l’aria che Emily respirava, senza di essa moriva» (sono parole di una lettera di Charlotte). Una scrittrice che la storia ha perso troppo presto. 
Non manca, naturalmente, “il racconto dei racconti”, ovvero la descrizione delle tre sorelle intente a scrivere e a scambiarsi impressioni critiche fra le quattro mura del parlour, e delle vicissitudini editoriali delle loro opere; di Charlotte, in particolare, Gaskell scrive: «la scelta delle parole è lo specchio del suo pensiero, nessun altro termine, per quanti sinonimi abbia, potrebbe essere sostituito a quello scelto da lei. […] Scriveva su quei pezzi di carta con una grafia minuta […] nella penombra del crepuscolo, vicino al caminetto acceso».