28 aprile 2011

La libertà di non studiare

Sto leggendo, di Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare. Sono arrivata quasi a metà e finora non ho trovato una sola frase con la quale sia possibile dissentire. L'autrice, come me, insegna alle superiori - anche se lei lavora in uno scientifico, e io in una scuola agli antipodi di un liceo - e descrive le stesse situazioni che io incontro ogni mattina. Nonostante una certa indulgenza al malumore e al catastrofismo, che chi non fa l'insegnante di sicuro troverà vittimista ed esagerata, il saggio è vivace, attento, talvolta anche storicamente puntuale. Per quanto ho letto finora Mastrocola si propone non solo di analizzare le cause per le quali gli adolescenti non amano lo studio (e quando mai??), ma anche di dimostrare che la massima parte del mondo che li circonda tollera, sostiene, avalla questa loro reticenza.
Molti dei ragazzi, non tutti per fortuna, sono pesantemente ignoranti, e si ritiene che la loro insipienza sia una moderna forma di conoscenza. Non provano più ammirazione, né tantomeno soggezione, per niente e per nessuno, e li si giustifica sulla base di un non meglio definito rifiuto dell'"antichità". Tanti allievi si propongono volontariamente agli insegnanti come soddisfatti imbecilli, e si suppone che la colpa sia da imputare all'insegnante stesso, che "non li sa motivare". Essi si adagiano al rigetto di qualsiasi forma di miglioramento di sé, e tale abulia la società lo accetta, con la scusa che i ragazzi bisogna lasciarli liberi (di non studiare, appunto).
Sbagliato. Alla loro età non bisogna lasciarli liberi, se scelgono deliberatamente l'errore solo per amore dell'omologazione. Non bisogna adeguarsi alla loro piccolezza personale, o inchinarsi a raggiungere la loro bassezza cognitiva. Il compito e il merito di un maestro o di un professore è l'opposto: non deve motivare, ma insegnare bene; non deve tollerare, ma sottolineare lo sbaglio, saggiamente e con cognizione; non deve giustificare, ma pretendere il rispetto dovuto al suo ruolo e ai suoi titoli; infine, deve dare ai suoi allievi tutti gli strumenti per uscire dalla loro condizione - anche se essi credono di averla scelta - ed elevarsi, crescere, diventare più sapienti, e migliori.