3 agosto 2019

Durante le vacanze

Sono appena tornata da un’esplorazione della Normandia, scrigno di meraviglie, dove ho scoperto angoli di bellezza che non sospettavo. La regione è una galleria di distese di spighe (che il giorno dopo sono già pittoreschi covoni), di prati, di alberi, di colline, di abbazie e castelli, di villaggi senza tempo, di spiagge d’oro (Plage d’or, si chiamava Omaha Beach prima dello sbarco del D-Day) e della superficie scintillante delle acque della Manica, con l’incanto delle sue celebri maree e il formicolio di vele bianche nei giorni della festa. La Normandia sembra una porzione d’Inghilterra oltre il Canale: allo stesso modo bella, multiforme e ricca di vedute. Non stupisce che la storia inglese che conosciamo sia partita da qui, mille anni fa. 
Summer in Normandy. Foto: IpsaLegit2019
Il viaggio è iniziato – ed è stato un sogno – a Giverny, nel cuore dell’impressionismo, nel luogo d’elezione di Claude Monet. Ho potuto visitare le stanze straripanti di colore, lo studio dalle enormi finestre e le tele appese alle pareti, inondato di luce, e soprattutto camminare nei giardini intorno alla casa, che definire tavolozza è riduttivo. I sentieri si snodano tra cespugli opulenti di fiori, tra alberi pieni di respiro, sotto archi carichi di rose, lungo il ruscello attraversato dal ponte giapponese e oltre lo stagno delle ninfee, vicino al quale si ha la sensazione di essere entrati direttamente dentro le tele immortali conservate al Musée de l’Orangerie a Parigi. Nei giorni seguenti le meraviglie si sono susseguite senza interruzione, tra il senso di rêverie della passeggiata in avvicinamento a Mont Saint Michel, la corsa in auto lungo le coste della penisola di Cotentin, i paesini sulla spiaggia frequentati da Flaubert e da Proust: Cabourg, Deauville, Trouville sur Mer. 
In Normandia le sere d’estate sono lunghe (il tramonto non cala prima delle 22) e lungo è anche il tempo per la lettura. I libri che mi hanno fatto compagnia, accanto alla finestra del sottotetto di un’antica casa francese, affacciata sull’erba e sul profilo lontano della cittadina di Avranches, sono stati M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati (Bompiani) e L’amore è cieco (Neri Pozza), il più recente romanzo di William Boyd. 
Il romanzo di Scurati, Premio Strega 2019, è il primo volume di una prevista trilogia (monumentale) sulla vita di Mussolini: qui si tratta il periodo tra il 1919, anno di fondazione dei fasci di combattimento, al 1925, con le conseguenze del delitto Matteotti. La scrittura è affascinante: pur assecondando il gusto del racconto, le pagine riportano parole e testimonianze del tempo, senza ricorrere alla fantasia o all’opinione personale dell’autore. M. Il figlio del secolo illustra le origini del catastrofico fenomeno storico che ha massacrato l’Italia nel Novecento: un trauma che non è stato mai elaborato e che anzi oggi sembra riproporsi pauroso, nel nome di una violenza verbale, gestuale, sociale che ogni giorno spinge sulla soglia delle nostre case e delle nostre scuole, tentando di prendere il sopravvento. 
L’amore è cieco è invece un romanzo nel senso pieno del termine e, come in Ogni cuore umano, Boyd qui ci presenta l’epica maschile di un personaggio che combatte da solo contro il mondo e contro il destino, spostandosi nel raggio di uno spazio molto ampio. Il protagonista, lo scozzese Brodie Moncur, è un giovane accordatore di pianoforti che, inseguendo le sfide del suo lavoro, lascia Edimburgo alla volta di Parigi, e poi San Pietroburgo, Trieste, e le altre destinazioni più evocative dell’ultimo Ottocento. Il motore della sua vita è la musica, ma anche l’amore quasi ossessivo per una mediocre cantante russa che detterà il ritmo della sua sorte. Anche se non mi ha colpita tanto quanto Ogni cuore umano o Inquietudine, L’amore è cieco resta davvero un bel libro, capace di rapire l’attenzione per ore: ideale, quindi, per questa stagione.