In questi giorni sto leggendo un altro romanzo di Elizabeth von Arnim, Il circolo delle ingrate (tradotto da S. Gravilli per Bollati Boringhieri; titolo originale The Benefactress, 1901) e vi sto ritrovando tutte le caratteristiche che mi fanno tanto amare questa scrittrice. Innanzitutto la vivida descrizione dei luoghi, caratteristica che ha fatto del suo Un incantevole aprile uno dei miei libri preferiti in assoluto; e in secondo luogo il tono ironico che scorre come un ruscello nascosto, limpido, puro, sotto la superficie della vicenda narrata. E' la storia di Anna, una ragazza di nobili natali, ma povera, costretta a farsi mantenere dalla ricchissima cognata, borghese nel senso peggiore del termine (gretta, insensibile, tirchia e arrivista). Anna ambisce all'indipendenza, non desidera il matrimonio e mette a tacere i richiami della propria bellezza per la volontà di trovare da sola e "senza una spalla cui appoggiarsi" la propria strada e il proprio posto nel mondo: tema, questo, fra i più importanti della narrativa di von Arnim. Quando eredita dallo zio una proprietà in Pomerania, nella Germania settentrionale, la giovane decide di impiegare la propria fortuna per aiutare una dozzina di donne indigenti e senza amici a conquistare la loro autonomia: la processione che le si presenterà non si rivelerà altro che una schiera di signore arroganti, egoiste e, come suggerisce il titolo italiano, ingrate, che dimostrerà al lettore l'ingenuità di Anna e, in senso lato, le difficoltà insite persino nella realizzazione di un progetto totalmente altruista e magnanimo (nonché economicamente accessibile). I personaggi che circondano la sprovveduta Anna, che talvolta, per certe sue presunzioni, sembra ricordare Emma Woodhouse, sembrano davvero fuggiti dalla porta sul retro di un romanzo austeniano. Susie, la cognata, è un po' la Mrs. John Dashwood della situazione: priva di buon cuore, smaniosa di arraffare e sempre pronta a sottolineare la propria (presunta) generosità; suo marito e fratello di Anna, Peter Eastcourt, ricorda tanto Mr. Bennet: definito dall'autrice un "filosofo" poco propenso a vivere nella realtà, è un uomo che sembra essersi pentito della sua scelta coniugale e che ama isolarsi dal mondo (nel suo caso è la pesca, e non una biblioteca, a costituire il suo rifugio dalle grinfie della moglie). Per non parlare della ridicolaggine degli uomini e delle donne che Anna incontra non appena raggiunta la sua proprietà in Pomerania: il misogino intendente e sua moglie, l'annoiata sorella del vicino, e il parroco con la sua sposa sono campioni di comicità (per quanto si ritrovi, nelle parole del pastore, un accenno di affilato antisemitismo che anticipa cupamente la tragedia del prosieguo del secolo). Proprio la loro presenza, ingombrante e invadente, fa sorridere noi lettori quando leggiamo i pensieri di Anna al risveglio nella sua nuova casa "in uno di quei letti disadorni, con il sole del mattino che le batteva in viso; si alzò per compiere le utili incombenze quotidiane nella casa tranquilla, una casa dove non c'erano litigi, deplorevoli ambizioni, né quell'amarezza del cuore che mai dovrebbe esserci. I giorni della sua vita degna sarebbero stati giorni felici."
Nessuna traccia di burla si ritrova invece nella rappresentazione della cornice geografica in cui la storia si svolge, come se von Arnim volesse far trionfare l'intensità della bellezza della natura, acuendo così la percezione della meschinità della società umana. I dintorni di Stralsund, la cittadina più importante della Pomerania Anteriore, sono davvero belli come l'autrice ce li descrive, e niente come le sue parole saprebbe restituirne il fascino antico, primigenio:
La piazza di Stralsund (d'inverno). Foto di Mara Barbuni (2014) |
Potete leggere altri post su Elizabeth von Arnim qui:
http://ipsalegit.blogspot.de/2012/06/un-incantevole-aprile.html
http://ipsalegit.blogspot.de/2012/11/elizabeth-von-arnim.html
http://ipsalegit.blogspot.de/2013/04/la-fattoria-dei-gelsomini.html