23 marzo 2012

Pienezza di vita

E' un pieno pomeriggio di fine giugno e la luce è così intensa da sembrare un'impalpabile nebbia di polvere d'oro. Le farfalle ciondolano da un fiore all'altro, appesantite dal calore, e il canto delle cicale si spande giù per le colline coperte di prati e di campi imbionditi dalle spighe. L'aria è immobile e ferme sono le cime dei cipressi scuri che guidano lo sguardo verso la villa sprofondata nel silenzio. Ed ecco levarsi una musica lontana, un'antica canzone italiana intonata da una voce di baritono...
Questa è l'immagine che si è levata davanti ai miei occhi leggendo Pienezza di vita. Racconti italiani di Edith Wharton, una raccolta di storie indimenticabili nelle quali la scrittrice americana ha riversato a piene mani tutto il proprio amore per l'Italia. I temi che vi si ritrovano sono molto simili alla grande narrativa europea del narratore eccelso, Henry James: l'americano in viaggio sul continente alla ricerca di una bellezza che al suo Paese non può appartenere, perché è piena di storia; la donna tormentata da una segreta malinconia, perché nutre desideri destinati a non realizzarsi mai; la languida inermità dei turisti danarosi; antichi segreti nascosti dietro gli scuri socchiusi di inaccessibili palazzi rinascimentali. 
La raccolta si apre con la descrizione del momento appena precedente alla morte di una donna che ha commesso suicidio, ed evoca un paesaggio che racchiude l'essenza di tutta la bellezza della vita: "Da ore giaceva in una sorte di lieve torpore, non dissimile da quella dolce prostrazione che si impadronisce di noi nel silenzio di un meriggio d'estate, quando la calura sembra aver messo a tacere perfino gli uccelli e gli insetti, e, sepolti nell'erba fiorita dei prati, attraverso un'immota copertura di foglie d'acero guardiamo la vastità serena e inespressiva dell'azzurro". 
E così scrive un passeggero che sta visitando un'antica dimora, teatro di un terribile delitto: "Dalla loggia ornata di affreschi fatiscenti guardavo un viale sul quale le ombre proiettate dalla fila di cipressi creavano l'effetto di una scala a pioli, fino allo stemma ducale ed ai vasi mutili che sormontavano il cancello. Sul giardino, sulle fontane, sui portici e nelle grotte incombeva il meriggio. Sotto la terrazza, dove licheni giallo cromo avevano rivestito la balaustra di fini laminae d'oro, i vigneti declinavano verso la ricca valle serrata tra le colline. I pendii più bassi erano costellati di bianchi villaggi, come stelle che trapungono un crepuscolo estivo; e, più lontano, pieghe su pieghe di montagne azzurre, trasparenti come un velo contro il cielo." (trad. it. di G. Prampolini, Passigli Editori).
Un'ambientazione così descritta non è una carta da parati, e nemmeno un trompe d'oil dietro lo svolgimento delle storie: è un mondo quadridimensionale nel quale al lettore sembra di sprofondare, di doversi schermare gli occhi con la mano, di allontanare il ronzio delle api, di respirare il profumo del grano e di incontrare, nel silenzio, una donna non più ragazza fasciata in un abito edoardiano e un giovane che la segue, sfiorandole di tanto in tanto la mano, senza dire niente.