17 marzo 2020

Immagini e ombre, l'autobiografia di Iris Origo

Se leggere un libro è come fare un viaggio, leggere un’autobiografia è viaggiare al fianco di una persona sconosciuta, che pian piano, tappa dopo tappa, con grande generosità ti invita a entrare nei suoi ricordi, regalandoti la parte migliore di lei. 
Sono appena tornata da un viaggio così, leggendo l’autobiografia di Iris Origo Images and Shadows. Part of a Life pubblicata da Pushkin Press (di questo libro so esistere anche una versione in italiano, Immagini e ombre, per i tipi di Longanesi). Ho comprato questo volume alla Libreria Senese, a Siena, appunto, attratta nel negozio dalla mia inguaribile incapacità di stare lontana da una libreria con le porte spalancate sulla strada. Ho aspettato diversi mesi per leggerlo, perché sentivo di aver bisogno di tempo e di quiete per godermi la storia della vita di questa scrittrice, un po’ americana, un po’ inglese, un po’ irlandese, un po’ italiana, che scelse la Toscana per trascorrere l’esistenza e divenne biografa di grandi nomi della letteratura – uno su tutti, Giacomo Leopardi. 
La scrittura è talmente bella, il tono diffuso così elegiaco da rendere questo libro toccante dall’inizio alla fine. Ne ho sottolineati innumerevoli brani, incapace di classificare la bellezza di un passaggio dedicato all’infanzia, o di una frase descrittiva del paesaggio, o di una riflessione sul fascino degli studi classici, o dell’ondulare nostalgico delle memorie. Concludendolo, si percepisce che l’intenso intimismo della narrazione non può tuttavia celare l’eccezionalità di questa vita: Iris Origo fu la figlia di William Bayard Cutting, grande amico del filosofo George Santayana e di Edith Wharton, e segretario personale dell’ambasciatore americano nel Regno Unito. Sua madre fu Lady Sybil Cuffe (figlia di un pari d’Irlanda), che fece trascorrere a Iris l’infanzia a Villa Medici, a Fiesole, e il cui secondo marito fu amante di Vita Sackville-West. Il marito di Iris fu il figlio illegittimo di un marchese italiano: con lui trascorse la vita coniugale nella tenuta di La Foce, sulle colline senesi, con lui affrontò il fascismo e la guerra, aprì un rifugio per bambini profughi, e offrì un nascondiglio a fuggiaschi e prigionieri di guerra alleati. 
Il libro è diviso in tre parti e procede, per ammissione stessa della scrittrice, concentrandosi sulle case in cui si dipanò il filo della sua vita. La prima parte è dedicata alle radici dell’albero genealogico di Iris, e si divide nella disamina della vita dei nonni (quello americano e quello irlandese), e sul racconto della vita dei genitori. Del nonno irlandese, Lord Desart, Iris scrive (qui e in seguito, trad. mie): “egli riversò su di me il gusto della vita così com’era nella dimora di campagna irlandese in cui trascorrevo le mie vacanze estive – un mondo di distanze azzurre e infiniti giochi e gioia, profumato della fragranza del pisello odoroso e del deciso sapore stringente dei ribes rossi, in cui le porte erano sempre aperte ai bambini, ai cani e ai vicini”. 
Iris Origo. Fonte: BBC
La seconda parte è forse la più evocativa, perché ci racconta la formazione di Iris, la sua crescita, i suoi studi, il suo avvicinamento alla letteratura. Dopo la dipartita prematura del padre, che morì sulle dune egiziane tentando di scampare alla tubercolosi, la madre portò Iris a Fiesole, a Villa Medici, che trasformò in stile inglese (“tende di chintz, acquerelli incorniciati, vasi d’argento colmi di rose, libri, profumi di scone e di tè appena fatto”) dove intrattenne ospiti celebri come Vernon Lee, mentre la bambina si rifugiava tra l’erba alta “nascosta con un libro nei giorni d’estate, a guardare in basso verso la lontana terrazza dove gli adulti, figure di nani, conversavano incessantemente”. La scrittrice riflette su quanto fossero avventurose quelle estati per lei bambina, che ancora doveva conoscere gli ostacoli e le pene del mondo e coltivava paure primitive, quasi piacevoli, e del tutto travolgenti: “è una delle punizioni dell’età adulta il fatto che le apprensioni e le intuizioni [dell’infanzia] vadano svanendo. Il muro tra noi e quel mondo si ispessisce: quella che era una consapevolezza fissa, anche se non formulata, è diventata solo un ricordo. Mentre passano gli anni, accade solo raramente che quella botola si apra nelle nostre memorie, e ne esca un effluvio di profumi quasi dimenticati, un bagliore di quel mistero”. In quella casa Iris intuì il passaggio della prima guerra mondiale, raccontatale soprattutto dal nonno irlandese nelle sue lettere, e fu sfiorata dalle morti da influenza spagnola. Da lettrice precoce quale sono stata, non ho potuto non innamorarmi delle pagine che Iris dedica alla sua attrazione per i libri; scrive: “l’immaginazione del bambino gli consente non solo di prendere da un libro esattamente ciò che gli serve – persone, genietti, tavoli o sedie – ma gli permette letteralmente di usare tutto questo per arredare il suo mondo. Non riesco a ricordare un periodo in cui io non l’abbia fatto. […] Divenni di volta in volta Maggie Tulliver, Jane Eyre, Catherine Morland, Natasha… Le loro ombre si allungano sullo sfondo della mia adolescenza con una vividezza negata a molte figure reali”. 
Iris poté godere di un’istruzione eccezionale, andando a lezione dal maestro Solone Monti, che le faceva studiare il latino e il greco facendola innamorare dei grandi classici, di Leopardi e di Pascoli; nel frattempo, metteva radici nel suo cuore un trasporto altrettanto caldo e sentito per l’Inghilterra – l’Inghilterra di Keats e di Jane Austen, un’Inghilterra che, come lei stessa scrive con una chiarezza che mi ha permesso di immedesimarmi subito in lei, soprattutto di questi tempi, non è quella del mondo reale, ma è la proiezione meravigliosa, la fantasmagoria, dei nostri desideri. È un’Inghilterra fatta di “biblioteche, guglie di cattedrali, malvarosa nei giardini dei cottage, ruscelli tra alti argini verdi, […] piccole chiese normanne in pietra grigia”. 
La terza parte dell’autobiografia è quella della maturità, del matrimonio, del racconto di La Foce. Iris non si sofferma sulla morte del figlioletto Gianni, ma scrive che quel dolore fu la spinta che la indirizzò sulla via della scrittura (e non ho potuto fare a meno di pensare a Elizabeth Gaskell, che visse la stessa esperienza). Il passo più toccante di questa sezione è l’impressione, rapida ma fortissima, come tutte quelle che permeano questo libro, che Iris conserva della seconda guerra mondiale: “la cacofonia”, trasmessa dalla radio, delle urla isteriche di Hitler, dei ruggiti degli applausi che lo salutavano, dell’apostrofe di Anthony Eden alla Società delle Nazioni, delle proterve dichiarazioni di Mussolini, delle canzoni fasciste dei soldati, e perfino dei bambini. 
Immagini e ombre, così bello che questo post è uno dei più lunghi di Ipsa Legit, è un cammino proustiano intriso di dolcezza. Scrive Iris che “se Proust ha ragione, sto portando dentro di me (a dispetto di tutti i mutamenti avvenuti) l’interezza della mia vita […] il tempo che supplicherei di avere è tempo nel passato, tempo per dare conforto, per completare, per riparare – tempo perduto molto prima che io sapessi quanto velocemente se ne sarebbe andato”. 
Sono tanti i passi che ho segnato in questo libro, e non potrei riportarli tutti. Uno di questi, però, devo citare a conclusione di questo lungo post, perché può esserci forse d’aiuto in un momento così delicato per il nostro paese. Quando la guerra finì, Iris scrisse sull’ultima pagina del suo diario: “Distruzione e morte ci hanno visitati. Ma ora, nell’aria, c’è speranza”.