23 maggio 2013

Chocolat

Restando nel tema delle "storie da mangiare"... finalmente sono riuscita a leggere Chocolat di Joanne Harris. L'ho iniziato temendo di restarne vagamente delusa, pensando che le suggestive atmosfere del film - i suoi colori, i costumi vintage, la magia delle mani che volano tra una pentola e l'altra, mescolando, frustrando e temperando il cioccolato - avrebbero finito per schiacciare la fragilità visiva delle parole. 
Invece la scrittura di Harris si è rivelata la vera anima, il fiato vitale della versione cinematografica, e la sua pienezza è riuscita persino ad evocare immagini più intense e reali di quelle del film. Lo studio psicologico dei personaggi è interessantissimo, sembra staccarli da quella scenografia bidimensionale per infondere loro un'esistenza reale. Aiuta a raggiungere questo traguardo l'espediente narrativo del doppio io narrante: da una parte Vianne, la chocolatier, una donna di ineffabile fragilità che nei dolci sembra voler riversare le amarezze del suo passato; dall'altra il curato Reynaud, figura così complessa che nel film è addirittura sdoppiata in due personaggi (il prete, ma anche il sindaco di Lasquenet), che si porta dentro oscuri segreti, e negli stenti della penitenza quaresimale espia desideri ancora più foschi.
Ma è naturalmente il cibo a farla da padrone in questa storia. Le descrizioni della cucina e della vetrina di Vianne, dei suoi banchetti, dei profumi che escono dalla sua Celeste Praline sono la ragione e la rappresentazione per cui mi piacciono tante le storie di cucina: per quel misto di incantesimo e opulenza, di piccola gioia e gratificazione che è racchiuso nel mistero della preparazione e della riuscita di un piatto. Riporto un breve brano dal libro, tratto dai pensieri di Reynaud: la sua paura della tentazione riesce a restituirci esattamente il senso del trionfo del cioccolato e della passionalità... 

"Sento l'infido insinuarsi del dubbio nella mia mente, e l'acquolina mi riempie la bocca al ricordo del suo profumo, panna e zucchero caramellato e l'inebriante miscela di cognac e chicchi di cacao appena macinati. È il profumo dei capelli di una donna [...], il profumo di albicocche maturate al sole, di brioches calde e di paste alla cannella, di té al limone e di mughetto. È un incenso sparso nel vento che si stende morbido come il drappo di una rivolta, [...] un'essenza composta da mille spezie, che fa intronare la testa e librare lo spirito".

11 maggio 2013

L'inconfondibile tristezza della torta al limone

Se oggi, entrando in libreria ci capita di sentirci come se stessimo camminando tra gli scaffali di un negozio di alimentari o nella cucina di un ristorante, tante sono le proposte "gastronomiche" offerte dalle copertine delle più recenti pubblicazioni, è anche vero che molti di quei titoli fanno riferimento all'esperienza culinaria solo come esca per i lettori, e non perché la storia narrata abbia veramente a che fare con i tanto amati profumi, sapori, gusti, caffè, cannella, vaniglia, etc. Il libro che ho letto nelle ultime settimane, invece, si occupa del cibo in modo totalizzante, e in virtù di una dimensione sensoriale che sta a metà tra la realtà e la fiaba. L'inconfondibile tristezza della torta al limone, opera di Aimee Bender (ed. Minimum Fax) è il racconto in prima persona di una giovane donna che riporta sulla carta i propri tormentosi pensieri di bambina, e che narra della propria qualità (quasi magica) di saper individuare con chiarezza i sentimenti delle persone che hanno preparato i cibi che lei sta mangiando. Questo spunto "soprannaturale" è in realtà un finissimo accompagnamento verso la trattazione della crisi di una normale famiglia americana, in cui un padre apparentemente sereno e una madre sull'orlo della depressione si ritrovano nell'incapacità di prendersi cura di due figli del tutto eccezionali: da una parte Rose, la voce narrante, che in virtù della del suo strano talento tutto comprende (anche troppo, per la sua età) e nulla può dire; dall'altra Joseph, uno studente dall'intelligenza straordinaria e dal difficile adattamento, che alla resa dei conti non si dimostra abbastanza bravo da poter accedere al sogno di un'università prestigiosa. Il rapporto tra Rose e Joseph è raccontato con una delicatezza e una profondità narrativa molto rare da trovare nelle recenti uscite editoriali: la vastità del dolore che sottende l'incontro fra le loro solitudini è trattata con un pudore che tocca le corde del cuore. Tra sogno e verità, tra ciò che è comune e ciò che è "diverso", il racconto si dipana fluidamente, come una di quelle carezze impercettibili che, anche se non sai nemmeno il perché, ti gonfia gli occhi di commozione.