24 gennaio 2011

Il tempo del racconto

Ci sono epoche più adatte di altre a fare da scenario ad una storia.
Il delicatissimo passaggio dal Sette all'Ottocento, specialmente nella letteratura inglese, è uno di quei periodi. E lo stesso vale per la Belle Epoque di contesto mitteleuropeo (Schnitzler) o il secondo Ottocento-primissimo Novecento angloamericano (Melville, James, Wharton, Ford, Conrad, Woolf). 
Intensissima, e straordinariamente ricca di spunti narrativi e di passionalità è la temperie che corrisponde alla Seconda guerra mondiale: un recente capolavoro come Espiazione di Ian McEwan trae la maggior parte della sua forza dallo scenario storico che la racchiude. Anche il romanzo che sto leggendo in questi giorni, il bellissimo The Distant Hours di Kate Morton, si svolge sulla strada di continui richiami agli anni 1939-1941; e il senso della tragedia incombente, che sfiora i personaggi rivoluzionando le loro vite, conferisce a questo libro una tale bellezza che con ogni probabilità un altro contesto non avrebbe potuto dare.

22 gennaio 2011

Jane/2

E in effetti, cosa c'è di meglio di un bel libro di Jane con cui trascorrere, una volta o due all'anno, qualche ora sperduta in un mondo passato, sereno, dolce, dall'aria gentile e quieta? Non saprei dire quante volte ho letto e riletto i suoi romanzi, che ogni volta sembrano nuovi e ricchi di significati che la lettura precedente non aveva svelato. E ogni volta che chiudi l'ultima pagina, ti senti di riaprire la prima. 
Così mi succede sempre con Orgoglio e pregiudizio, Persuasione e Mansfield Park, che è forse la più profonda fra tutte le opere di Jane.
Ma poi si pensa a quante altre migliaia - milioni - di splendidi libri ci sono ancora da leggere e ci si risolve finalmente ad entrare nelle loro storie e nei loro misteri, pronti a conoscere personaggi nuovi e a immaginare altri mondi. 
E' questa infinità a rendere ancora più prezioso l'esercizio della lettura.

21 gennaio 2011

Jane

Qualche giorno fa ho visto il film Il club di Jane Austen, tratto dall'omonimo libro, che non ho mai letto. La storia non è niente di particolare, anzi, si fa un po' fastidiosa quando gli irritanti personaggi femminili del gruppo di lettura si prendono gioco di una di loro per il fatto di riferirsi alla loro autrice preferita solo con il nome di battesimo: Jane. E' un' abitudine che ho preso anch'io, e non vedo cosa ci sia di strano. Per dirla tutta, Amanda Cross, nel suo Un delitto per James Joyce (a proposito, da non perdere per chi ama come me i literary misteries...), fa dire alla sua protagonista che quanto di meglio possa essere trovato per svolgere una buona ricerca letteraria è qualcuno talmente legato ai propri autori da chiamarli per nome - "qualcuno," dice pressappoco, "che si riferisca ad Austen solo con 'Jane'". 
Ma non è di questo che intendevo parlare. Nell'ultimo post si parlava del colore, e di quanto esso possa essere pregnante nello sviluppo di una storia. I sei più famosi romanzi di Jane sono pieni di colore.
Emma è giallo: luminoso, appariscente, dominante, eppure talvolta inquietante nella sua presunzione prossima all'arroganza.
Northanger Abbey è rosa, ingenuo, furbetto, un po' noioso.
Azzurro è Orgoglio e pregiudizio. La perfezione, la vastità d'intenti, il respiro ampio, l'ariosità consolante, la luce immensa e tuttavia le ombre... insomma tutte le sfumature della poesia.
Ragione e sentimento è verde. Il verde del Devonshire e del Sussex, quel verde solo inglese, morbido, fragrante, fresco, a volte cupo, ma sempre intriso di vita.
Un tenue grigio perlato è il colore di Persuasione, del mare di Lyme Regis, della stringente malinconia che non ti abbandona neanche dopo il lieto fine.
Mansfield Park mi fa pensare al rosso intenso, per la sua solennità e la forza delle sue passioni, e per la totalità delle emozioni umane che è in grado di rappresentare. 
Penso non sarà l'ultima volta che qui parleremo di Jane.

19 gennaio 2011

La montagna incantata

A proposito di perturbante bianchezza, ovvero di quell'assenza di colore la cui magnificenza si avvicina alla nozione del sublime di Edmund Burke ("l'orrendo che affascina"), ricordo la passeggiata nella neve di Hans Castorp nella Montagna incantata (solo di recente, nell'ultima traduzione italiana - dei Meridiani - pubblicata lo scorso novembre, l'aggettivo originale "Zauber" è stato trasformato dal tradizionale "Incantata" a "Magica", in riferimento ad una citazione da Nietzsche). 
In questo lungo brano, la montagna ingombra di neve è descritta come immersa in un "silenzio di morte", un "silenzio [...] assoluto e perfetto, una quiete ovattata, ignota, mai avvertita, senza riscontri possibili." Il mondo tutto bianco, privo di riferimenti alla percezione, emana "sensazioni di una quieta elementarità minacciosa, [...] di una indifferenza mortale."
E così dai fantasmi di James, passando per la balena di Melville, siamo approdati alla montagna di Mann.
Ma quali altri colori si sono fatti protagonisti della storia della letteratura? E quali sensazioni hanno suscitato nei loro autori-pittori... e soprattutto nei loro lettori?

18 gennaio 2011

Moby Dick

"Ma non abbiamo ancora risolto l'incantesimo di questa bianchezza, né trovato perché abbia un così potente influsso sull'anima. [...] E' forse ch'essa adombra con la sua indefinitezza i vuoti e le immensità spietate dell'universo, e così ci pugnala alle spalle col pensiero del nulla [...]? Oppure avviene che nella sua essenza la bianchezza non è tanto un colore quanto l'assenza visibile di colore e nello stesso tempo la fusione di tutti i colori: avviene per questo che c'è una tale vacuità muta e piena di significato in un paesaggio vasto di nevi, un incolore ateismo di tutti i colori, che ci fa rabbrividire?"
Herman Melville
(Moby Dick, Adelphi 2008)


17 gennaio 2011

Il giro di vite/2

Il fascino del Giro di vite, uno dei più alti risultati della narrativa dei fantasmi, sta nella capacità di rappresentare il vuoto di colore. Come in Moby Dick, il terrore è bianco - e bianchi sono gli spettri dell'immaginario collettivo. Nel racconto di James la paura è il sentimento dominante, ed è così forte da annullare ogni altra espressione e percezione umana; essa sospende i sensi, insieme al giudizio, e impregna l'atmosfera del racconto di una fitta nebbia in cui si perdono le definizioni della vista, degli odori, dei rumori, delle parole, dei tratti dei volti dei bambini.
E in questa nebbia (rievocata nel film The Others, che per tanti aspetti mi ha ricordato questa opera) si smarrisce anche la verità. Alla fine della storia, solo alla nostra interpretazione è lasciata la scoperta dell'identità dei fantasmi che hanno popolato quella casa nell'Essex. Tale indefinitezza ci sconcerta; e il passo tremante degli spettri che non conosciamo ci perseguita anche dopo che abbiamo voltato l'ultima pagina.

16 gennaio 2011

Il giro di vite

Bunratty Folk Park, Ireland.
Foto di Mara Barbuni (2005)
"Il racconto ci aveva tenuti col fiato sospeso attorno al focolare..."

Inauguro questo blog con Henry James, il narratore perfetto.
Il fil rouge di queste conversazioni intorno al nostro focolare virtuale saranno i libri, i romanzi, i racconti, le parole. Tutti i libri, i romanzi, i racconti, le parole che tengono con il fiato sospeso - per qualsiasi ragione.
Benvenuti.