23 aprile 2016

Shakespeare 400

Oggi il mondo intero ricorda i 400 anni dalla morte di William Shakespeare. Festeggiamenti di ogni sorta si sono organizzati in ogni dove e non è facile pensare a un solo breve argomento per un post che partecipi degnamente alle celebrazioni.... Il monologo di Prospero nel IV Atto della Tempesta

Our revels now are ended. These our actors, 
As I foretold you, were all spirits, and 
Are melted into air, into thin air: 
And like the baseless fabric of this vision, 
The cloud-capp'd tow'rs, the gorgeous palaces, 
The solemn temples, the great globe itself, 
Yea, all which it inherit, shall dissolve, 
And, like this insubstantial pageant faded, 
Leave not a rack behind. We are such stuff 
As dreams are made on; and our little life 
Is rounded with a sleep. 

Immagine ©IpsaLegit2016

Dovrei parlare della magia di Puck? Della passione di Antonio? Dei tormenti di Bruto? Della libbra di carne del Mercante di Venezia? Degli enigmi del Racconto d’inverno? Del prologo dell’Enrico V? Della sonorità del pentametro giambico? Dei sonetti 17, 18, 29? Oppure del 55: 

Not marble, nor the gilded monuments  
Of princes, shall outlive this powerful rhyme; 
But you shall shine more bright in these contents 
Than unswept stone, besmear'd with sluttish time.  
When wasteful war shall statues overturn,  
And broils root out the work of masonry,  
Nor Mars his sword nor war's quick fire shall burn 
The living record of your memory.  
'Gainst death and all-oblivious enmity 
Shall you pace forth; your praise shall still find room 
Even in the eyes of all posterity  
That wear this world out to the ending doom. 
So, till the judgment that yourself arise,  
You live in this, and dwell in lovers' eyes. 

Shakespeare's birthplace
Stratford upon Avon (2007)
Impossibile prendere una decisione! D’altronde, Shakespeare è in qualche modo il movente di tutto ciò che sto facendo in questi anni, dato che è la ragione per cui ho scelto di studiare inglese all’università…. Nel corso del primo anno di studi, nonostante ci fossero diverse alternative per sostenere l’esame di Letteratura Inglese I (tra cui, mi ricordo, un corso su Jane Austen e uno sul romanzo gotico, entrambi semestrali), io scelsi quello annuale sui drammi romani di Shakespeare. Lo finimmo in quattro. Che fatica... ma ne valse la pena! Al terzo anno intrapresi il corso facoltativo di Letteratura Inglese del Rinascimento solo per la possibilità di studiare con cura i Sonetti. Bellissimi ricordi… ore e ore fermi su un solo verso, a rievocare insieme le infinite possibilità interpretative di una parola, di una figura o di un suono. Per Letteratura Inglese IV il corso monografico sui romances (The Tempest e A Winter’s Tale): per preparare l’esame finale, che comprendeva, tra le altre cose, anche Marlowe, il Paradiso perduto e tutta la Faerie Queene, impiegai otto mesi. Infine, per il dottorato, un seminario tenuto da uno dei più grandi anglisti e americanisti italiani su Il mercante di Venezia e Otello. 
Shakespeare's grave
Stratford upon Avon (2007)
Insomma, Shakespeare è sempre entrato, uscito e rientrato dalle porte e dalle finestre dei miei studi, eppure, contrariamente a quanto spesso accade, non me ne sono mai stancata. Anni fa, davanti alla sua tomba nella chiesa di Stratford upon Avon, ho sentito un brivido; e altri li ho sentiti nelle stanze della sua casa, di fronte al vetro della finestra inciso dagli illustri visitatori che hanno lasciato lì il loro nome (uno su tutti, Wordsworth), a testimonianza del loro pellegrinaggio. Oggi mi piacerebbe essere al Globe, ad assistere a uno dei miei drammi preferiti (Giulio Cesare, Molto rumore per nulla, Riccardo II…), ma Shakespeare è un po’ intorno a tutti noi, anche se non si è a teatro, anche quando non si ha un suo libro fra le mani, anche quando si sta conducendo la più ordinaria delle giornate nella più normale delle esistenze. 
Anche quando non lo sappiamo, Shakespeare è parte di quello che siamo.

18 aprile 2016

Dialogo fra traduttori

Cari lettori, oggi Ipsa Legit e la pagina Leggere Elizabeth Gaskell vi propongono un post del tutto speciale. Come molti di voi sanno, negli ultimi anni ho lavorato molto su Elizabeth Gaskell, traducendo per la prima edizione italiana i suoi due ultimi romanzi “lunghi”, Sylvia’s Lovers (Gli innamorati di Sylvia, Jo March 2014) e Wives and Daughters (Mogli e figlie, Jo March 2015), e preparando un saggio intitolato Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana pubblicato da flower-ed (marzo 2016). C’è anche qualcos’altro in ballo, proprio in questo periodo, ma ne parleremo quando il progetto sarà definito...! 
Oggi invece voglio presentarvi un “collega”, ovvero un altro traduttore che si è occupato e si sta tuttora occupando della scrittura di Elizabeth Gaskell, Salvatore Asaro. Ecco la nostra conversazione.

1) Benvenuto, Salvatore, e grazie di aver accettato questo invito. Di recente hai curato per le Edizioni Croce la ristampa della traduzione italiana (di Fedora Dei) di Mary Barton, il primo romanzo “lungo” di Elizabeth Gaskell. Mary Barton è un romanzo cruciale, che segna il debutto di Gaskell sulla scena letteraria e lo fa con una serie di tematiche piuttosto controverse, soprattutto – ma non solo – all’epoca della pubblicazione (1848). Quali sono gli aspetti del romanzo che ti hanno maggiormente coinvolto o affascinato?
Grazie mille a te, Mara, per avermi invitato! Sì, ho curato di recente la ripubblicazione di Mary Barton per i tipi delle Edizioni Croce ed è stato un lavoro assieme delicato e affascinante. Ho lavorato su una traduzione bellissima e molto puntuale, dove è possibile cogliere tutti i colori, tutti gli odori e tutti i sapori che Elizabeth Gaskell aveva attribuito alla sua Manchester, nell’originale inglese. La traduzione di Fedora Dei ha fatto un uso massiccio di costrutti regionali laddove la scrittrice inglese ricorreva al dialetto di Manchester e a una sintassi libera, quasi “sgrammaticata”, quando lasciava parlare il popolo con i loro vizi di forma e i loro ipercorrettismi. Diventa qualcosa di quasi voyeuristico andare ad analizzare da vicino il lavoro di un altro traduttore, scoprire le tecniche che ha adottato, cercare di capire le motivazioni che lo hanno spinto a fare una scelta piuttosto che un’altra. E di sicuro mi sono divertito tantissimo. Contestualmente alla revisione della traduzione, ho lavorato anche sulle note, un lavoro che – da filologo – mi affascina sempre tantissimo; amo l’intertestualità, leggere fra le righe, scoprire i rimandi biblici, e Elizabeth Gaskell, in questo, non mi delude mai. Mary Barton è conosciuta come l’opera di esordio della Gaskell, anche se non è stata la sua prima vera prova d’autore. La scrittrice inglese infatti si era confrontata con la scrittura già altre volte, dando alle stampe una serie di racconti brevi e brevissimi, come: “Life in Manchester”, “Christmas Storms and Sunshine” e il bellissimo “Sexton’s Hero”, tutti apparsi su Howitt’s Journal. Al di là della genesi del libro, più o meno nota a tutti i lettori, Mary Barton è la prima opera sul serio “immensa” con la quale la scrittrice deciderà di misurarsi. Rispondo alla tua domanda utilizzando le più autorevoli parole di Francesco Marroni che ha curato la prestigiosa introduzione al volume: «Scrivendo il suo primo romanzo, Mary Barton, Gaskell si confrontava direttamente con i mali sociali che ormai erano ben visibili anche agli occhi di quella parte della classe politica che sosteneva in modo acritico il primato dell’industria, senza interrogarsi sui conflitti che originavano dalla crescente distanza fra padroni e proletariato urbano. Tuttavia, non disgiunta dalla tematica sociale, Gaskell introduce anche il paradigma del male inteso in senso metastorico: il male come elemento costitutivo del percorso umano» (p. VIII). Mary Barton è un romanzo, come hai detto tu, cruciale e anche se risente ancora (inevitabilmente!) dei vecchi modelli ottocenteschi, si percepisce che è presente, in germe, l’intenzione di qualcosa di molto più grande, di molto più profondo e ambizioso: intenzione che maturerà in romanzi successivi come Nord e Sud e il monumentale Mogli e figlie. La figura dell’eroina unica ne è un esempio non di poco, è Mary che risolve tutto quanto, è Mary che decide della sua vita, è Mary che darà il via a una serie di personaggi femminili forti. Stiamo parlando, senza alcun dubbio, di un grande libro, di una lettura imprescindibile per chiunque voglia approcciarsi al mondo della letteratura in generale, di un romanzo forse “sperimentale”, sicuramente innovativo, ed è stato un vero peccato che ai lettori italiani, per anni, non è stato possibile poterne apprezzare il contenuto. E per questo sono molto grato alle Edizioni Croce, in primis per aver pubblicato un testo molto impegnativo (per via della mole, in termini pragmatici) e poi per aver affidato a me il delicato compito della revisione. 
2) Tu sei il traduttore dell’edizione di Ruth pubblicata da Elliot nel 2015. Anche Ruth fu un romanzo outrageous, fustigato dalla stampa e dall’opinione pubblica, ma elogiato da grandi scrittrici come Elizabeth Barrett Browning e Charlotte Brontë. Vuoi raccontarci il tuo lavoro di traduzione? Quali sono stati i momenti più difficili (se ci sono stati)? 
Ho iniziato a tradurre Ruth anni fa, non ricordo nemmeno più io quando. All’inizio è nato come un gioco. Stavo seguendo un corso di letteratura inglese all’università e mi colpì il modo in cui la mia professoressa entrò nei dettagli della trama. C’era qualcosa di perverso nel suo modo di strappare tessuto narrativo dal testo e analizzarlo in aula, strappare lacerti di storia per mostrarli a noi – lì, nuda e indifesa. Ma la cosa che mi sorprese ancora di più fu la scoperta che avvenne immediatamente dopo: il libro, negli anni a cui faccio riferimento, non esisteva in italiano. Be’, mi procurai una copia della Penguin e iniziai a leggerlo. La curiosità di scoprire ogni dettaglio di quella vicenda tanto outrageous l’aveva avuta vinta su di me. Mi innamorai della prosa gaskelliana, stabilii che non avevo mai letto niente di più bello prima di allora – e non soltanto a livello contenutistico, ma anche e soprattutto a livello stilistico (certo, nel parlare del mio amore per Elizabeth, non posso non nominare i saggi di Francesco Marroni, i quali hanno avuto un ruolo cruciale durante la mia formazione universitaria). Decisi di portare con me il testo a Londra e tradussi la prima metà proprio mentre andai a vivere lì. L’altra metà la portai a termine in Italia. Inizialmente non pensavo alla pubblicazione, il file restò in una cartella documenti sul mio computer per un paio di anni. Poi mi chiesi: “Perché no?”. Sarebbe dovuto uscire con le Edizioni Croce, all’interno della loro elegantissima collana Participio Passato, ma poi con un accordo fra editrici, si decise che lo avrebbe pubblicato la Elliot. Tradurre Elizabeth Gaskell è sempre una grande sfida, non importa il titolo che si ha davanti. Di recente ho tradotto uno dei suo racconti brevissimi (appena 2 cartelle) e non sono riuscito a chiudere occhio per diverse notti! Il momento più difficile è quando ti trovi a dover lottare con i protagonisti. Inevitabilmente, grazie alla sua grande capacità narrativa, quando leggi – e soprattutto traduci – i titoli della nostra Elizabeth, entri a far parte della storia. E quando questa prende una piega inaspettata, una che non condividi… be’, ecco, se ripenso a quei momenti… A livello tecnico invece cerco di rispondere in modo più professionale. Elizabeth Gaskell è un’autrice dalle mille sfaccettature, le sue frasi sono valigie ipertrofiche di rimandi, di sottotesti, e spesso è difficile mantenere tutto in traduzione; e poi ha un ritmo impetuoso che va a braccetto con la storia. Siamo lontani chiaramente da un’autrice come Gertrude Stein, che fa della parola uno strumento musicale, a discapito spesso non solo del significato vero e proprio ma anche della comprensione finale; di lei ho tradotto Fernhurst, un testo relativamente breve che mi ha portato via diversi mesi soltanto perché ho cercato di mantenere quella musicalità, quel ritmo speciale che l’autrice andava ricercando all’interno del suo esperimento linguistico e letterario – un romanzo che deve essere assolutamente riscoperto, riproposto al grande pubblico colto, e che per questo, se mi è permesso, consiglio a tutti i lettori: si racconta una storia davvero moderna, intelligente, ambientata all’interno di un ateneo americano. E io, un po’ per formazione, un po’ per rispetto verso l’autore e verso il lettore, non riesco a trascurare nessuno di questi aspetti e quindi spesso per tradurre una frase – per quanto oggi la tecnologia giochi a nostro favore e ricorrere ai dizionari sia molto più veloce –, per tradurla come dico io, impiego anche un pomeriggio intero. Tradurre è sempre molto difficile, indipendentemente dall’esperienza maturata. Ogni testo è una scoperta e anche lo stesso autore riesce a risultare molto diverso tra un’opera e l’altra. Il consiglio che do: bisogna approcciarsi al testo originale piano piano, sfogliandolo, piluccando porzioni di brani qua e là e solo dopo aver instaurato una sorta di feeling iniziare a tradurre. 
3) Tu sei un grande estimatore di Elizabeth Gaskell. Hai un romanzo preferito”? Conosci la sua scrittura breve (racconti e novelle)? Cosa ne pensi? 
Io ritengo che assieme a George Eliot e a Charlotte Brontë, Elizabeth Gaskell sia fra le autrici più interessanti dell’Ottocento inglese. Quindi, per rispondere alla tua domanda, sì, credo di essere un suo estimatore. È difficile avere un romanzo preferito, ma non voglio nemmeno essere banale e dire che li amo tutti allo stesso modo. Sicuramente le sue opere più interessanti, almeno secondo il mio punto di vista sono due: in primis Mary Barton e poi Nord e Sud. Quanto all’altra domanda, credo di aver, in un certo qual modo, dato una risposta. Conosco molto bene la scrittura breve di Elizabeth Gaskell e ci sto lavorando intensamente, coordinando, come ho già detto più su, la traduzione dei racconti da raccoglierle in volume per i tipi della editrice Croce. Da mesi, in team, stiamo traducendo gli scritti brevi gaskelliani, random, per così dire, senza un ordine preciso. Per ora abbiamo messo un po’ da parte i titoli “gotici”, ma un domani chissà… Penso che in alcuni racconti Elizabeth Gaskell abbia dato il meglio di sé, mi riferisco nella fattispecie a “L’eroe del sagrestano” e a “Casa Clopton” (entrambi tradotti da me), ma anche nel romanzo breve La casa nella brughiera, a mio avviso una delle storie più strazianti mai raccontate – anche quest’ultimo vedrà la luce per i tipi della editrice Croce, con la traduzione di Flavia Barbera e l’introduzione di Francesco Marroni. 
4) Parliamo del tuo lavoro di traduttore. Qual è il percorso personale e/o formativo che ti ha permesso di approdare a questo mestiere, così complesso eppure così affascinante? 
Dopo gli studi superiori condotti a La Sapienza di Roma, ho perfezionato la mia conoscenza sia letteraria sia linguistica a Londra, seguendo dei corsi che riguardavano prevalentemente gli aspetti interculturali e di genere in letteratura. È a quegli anni che risalgono i miei primi tentativi di traduzione gaskelliana, spero ben riusciti. Al mio ritorno in Italia ho conseguito un master in Didattica interculturale e contestualmente ho iniziato a collaborare con diverse case editrici, sia come traduttore/revisore sia come editor. Oggi porto avanti un progetto con l’università e continuo a lavorare come editor. Non credo che per diventare traduttore editoriale sia indispensabile una laurea in Lingue o un master in Traduzione. Sicuramente è fondamentale avere una formazione universitaria in ambito umanistico, anche perché la traduzione è un mestiere che richiede concentrazione, lentezza e una grande passione per i libri. Io ad esempio ho una laurea in Filologia e il mio percorso post lauream non ha mai previsto studi specifici di traduttologia. Requisito essenziale è l’ottima conoscenza della lingua di partenza e la perfetta padronanza della lingua di arrivo. 
5) Quali sono i tuoi progetti attuali? C’è qualche altro lavoro “in progress”, magari nell’ambito della letteratura vittoriana o nello specifico gaskelliana, del quale possiamo anche solo accennare? 
La domanda è ardita. Diciamo che sto portando avanti mille lavori editoriali, anche nell’ambito della letteratura vittoriana. Come è facile immaginare – purtroppo –, non posso sbottonarmi più di tanto, anche se mi piacerebbe. Sul serio. Sicuramente posso anticipare il mio importantissimo lavoro all’interno di un inedito di Goliarda Sapienza che dovrebbe andare in stampa tra un mesetto. Grazie all’aiuto dell’inossidabile Angelo Pellegrino – marito e curatore dell’opera omnia di Goliarda Sapienza – ho stilato la prima cronologia bio-bibliografia della scrittrice etnea. Un lavoro di cui vado molto fiero. Poi ho finito di tradurre, a mio avviso, una fra le opere più belle di Elizabeth Gaskell, e spero che i lettori mi diano ragione: I fratellastri, che uscirà i primi di maggio di quest’anno. Sto rivedendo la traduzione grazie anche ai consigli preziosi di Michela Marroni, la quale firma l’introduzione e la curatela. In appendice a I fratellastri compariranno i due frammenti gotici incompiuti che la prof.ssa Marroni tenterà di ricostruire in chiave filologica, una vera chicca per gli amanti della Gaskell. 
Elizabeth Gaskell, by George Richmond
Londra, National Portrait Gallery
La storia de I fratellastri è molto densa ed è molto difficile riassumerne la trama; c’è talmente tanto all’interno di questo titolo che perfino oggi, mentre rispondo alle domande di questa intervista, dopo averlo non solo tradotto, ma anche rivisto e corretto decine di volte, non riesco a capire come abbia fatto la Gaskell a condensare in così poco spazio tutto quel materiale! Non è un caso che la critica non lo faccia rientrare tra i racconti, ma fra le storie brevi. Al momento sono alle prese con la traduzione di un altro romanzo molto interessante, di un autore col quale ho già lavorato in passato, ma nel cuore porto ancora la storia dei due Half-Brothers. E poi, come ho già detto, sto rivedendo la traduzione de La casa nella brughiera, (pubblicazione prevista: estate 2016). In questi giorni mi è stato proposto un incarico molto interessante, ma non posso anticipare ancora nulla. Insomma, non posso proprio dire di annoiarmi! 

Ancora un grazie di cuore a Salvatore Asaro per il tempo e la cura che ci ha dedicato. Personalmente devo dire che nelle sue risposte ho trovato grandi affinità di esperienze, di sensazioni, di relazione con il linguaggio, e non ultimo di amore per la letteratura gaskelliana. Spero abbiate gradito questo incontro: auguriamo a Salvatore il meglio per il suo futuro.