28 agosto 2016

Le cascate di Sherlock Holmes

«Spetta a me raccontare per la prima volta ciò che davvero avvenne tra il Professor Moriarty e Mr. Sherlock Holmes» scrive il dottor Watson all’inizio di The Final Problem (L’ultima avventura), il racconto che avrebbe dovuto chiudere la serie delle storie del celebre investigatore. In questo scritto Watson ci narra l’«incantevole» viaggio compiuto insieme all’amico in Svizzera, tra il verde della primavera incipiente e il «bianco verginale» delle vette; i due si spostano da Ginevra a Interlaken fino ad arrivare alla cittadina di Meiringen, scendendo all’albergo Englischer Hof (che oggi si chiama ParkHotel Du Sauvage).
Due giorni fa sono stata proprio a Meiringen (che è anche la città natale della meringa…), ai piedi delle montagne da cui precipitano le Cascate Reichenbach. Scrive Conan Doyle/Watson: «Ci fu caldamente raccomandato di non oltrepassare le cascate di Reichenbach che sono circa a metà dell’ascesa senza fare un piccolo giro per vederle. È veramente un posto pauroso. Il torrente gonfio per il disgelo si tuffa in un abisso terribile da cui si alza la schiuma come il fumo da una casa in fiamme. Il passaggio in cui il fiume si getta è un immenso abisso costeggiato da rocce lucenti, nere come carbone, e finisce in un baratro spumeggiante di incalcolabile profondità che, gonfia, riversa la corrente in alto sopra di sé. La lunga scia di acqua verde che muggisce continuamente e la pesante mutevole cortina di schiuma che viene verso l’alto fanno venire il capogiro con il loro continuo rumore e frastuono. Stavamo vicino all’orlo del precipizio osservando il luccichio dell’acqua che si infrangeva giù sotto di noi contro le rocce nere e ascoltando l’urlo quasi umano che ci raggiungeva insieme alla schiuma dall’abisso. Il sentiero è stato tagliato intorno alla cascata in modo da permettere una vista completa, ma improvvisamente finisce e il viaggiatore deve ritornare indietro». 
Foto: ©IpsaLegit2016

Le cascate si raggiungono prima con una funicolare rossa fiammante, in stile old-fashioned con gli interni in legno, e poi su per una salita piuttosto impervia che raggiunge un ponticello appeso giusto sopra il salto; da lì si scende ancora una volta e si raggiunge il punto dove Sherlock e Moriarty cadono nel precipizio. Qui si trova una targa dedicata all’investigatore, e persino una ghirlanda di fiori con i messaggi di estremo saluto dei suoi amici (Watson, i Lestrade,…). Watson raggiunge questo punto dopo essere stato ingannevolmente richiamato a Meiringen dagli uomini di Moriarty: qui trova il portasigarette di Holmes e un messaggio vergato dalla sua mano. Scrive: «Dall’esame fatto dagli esperti risulta quasi con sicurezza che la lotta corpo a corpo tra i due uomini finì, come non poteva che finire in tale situazione, nel gettarli nell’abisso stretti l’uno all’altro. Qualsiasi tentativo di recuperare le salme fu impossibile e là, in quel terribile pozzo di acqua vorticosa e di schiuma ribollente, giaceranno per sempre il più pericoloso criminale e il più insigne campione della legge della loro generazione». 
In paese, nella cripta di quella che era la chiesa anglicana, in Conan Doyle Place, si trova il Museo di Sherlock Holmes, in cui si ammira la ricostruzione esatta del salotto del 221b Baker Street (i dettagli obbediscono pedissequamente alla descrizione letteraria e i mobili, tutti di antiquariato, risalgono al tempo dei fatti narrati). Il Museo è stato aperto nel 1991, sotto il patronato  della Sherlock Holmes Society of London e di Dame Jean Conan Doyle. Benché sia un personaggio inventato, Holmes è stato nominato cittadino onorario di Meiringen.
 
Foto: ©IpsaLegit2016


14 agosto 2016

The Duchess of Bloomsbury Street

Poche settimane fa è stato pubblicato in formato digitale The Duchess of Bloomsbury Street di Helene Hanff. Per leggere e “comprendere” questo libro è obbligatorio conoscere 84, Charing Cross Road, che raccoglie la corrispondenza epistolare della scrittrice con Frank Doel, il libraio inglese che le spedì a New York ogni sorta di volume usato, formando con lei una lunga e affezionata amicizia: di questo libro, che è entrato nell’empireo dei miei “indimenticabili”, ho parlato qui
The Duchess of Bloomsbury Street è il diario di viaggio di Helene a Londra. Nel 1973 la scrittrice fu invitata in Inghilterra per un tour promozionale del fortunatissimo 84, Charing Cross Road e realizzò il sogno di vedere la città – un sogno coltivato per anni, ma mai realizzato per ragioni economiche – ma non di incontrare Frank, ormai deceduto. I momenti supremi di questo viaggio, compiuto sperando in pranzi e cene offerti da editori e fan, sono l’incontro con la moglie e la figlia di Frank, l’ingresso al Claridges («dove pranzano tutti i personaggi di Noël Coward»), la contemplazione di rose in piena fioritura in ogni giardino, la visita al pub frequentato da Shakespeare e al punto – allora vuoto – dove sorgeva il Globe. 
L’aspetto davvero incantevole di The Duchess of Bloomsbury Street, infatti, è il racconto dell’esperienza di una “prima visita” a Londra. La maggior parte delle persone che frequentano Ipsa Legit sanno bene di cosa si tratta: è quel senso imponderabile di essere “caduti dentro” le pagine di un libro, accompagnato dalla consapevolezza che la città è e sarà per noi per sempre unica, perché la sua bellezza reale è addirittura accentuata, come trasfigurata, dalla bellezza dei nostri sogni, e di desideri nutriti talmente a lungo da aver messo radici solide nel nostro cuore. Il mio ricordo più forte del mio primo viaggio a Londra è il Poets’ Corner di Westminster Abbey: ma, come dice la scrittrice, è l’atmosfera in cui ti immergi appena messi i piedi a terra che rende la tua presenza in città del tutto magica. 
Scrive Hanff (trad. mia): «Tirai le tende… e finché vivrò non dimenticherò mai più quel momento. Avevo di fronte, dall’altra parte della strada, una linda fila di strette case di mattoni, con i gradini di pietra bianca. Sono normalissime case del Settecento e dell’Ottocento – ma quando le vidi mi resi conto di trovarmi a Londra. […] Tremavo. Non ero mai stata così felice. Da tutta la vita volevo vedere Londra. Andavo al cinema a vedere film inglesi solo per poter osservare case come quelle. […] Talvolta, a casa, la sera, leggendo una descrizione di Londra firmata da Hazlitt o da Leigh Hunt, mi era capitato di mettere giù il libro di colpo, sommersa da un’ondata di desiderio che era come nostalgia di casa
Questa dichiarazione d’amore, nella quale è tanto facile immedesimarsi, è commovente.


10 agosto 2016

Una settimana, tre libri

Negli ultimi giorni, con la complicità di un fine settimana tranquillo trascorso in terrazza e le serate freddine, ho letto tre libri. Ho iniziato con Il tempo dell’attesa, il secondo atto della “Saga dei Cazalet” di Elizabeth Jane Howard (Fazi Editore). Benché la scrittura sia sempre eccellente, devo dire che questo secondo capitolo non mi è sembrato all’altezza del precedente, che mi aveva affascinato molto di più: forse, in questo caso, le dinamiche familiari già note e la minore rilevanza negli scambi fra i personaggi hanno pesato un po’ sull’evoluzione della scrittura. Narrativamente parlando, la figura di Louise impegnata a calcare le scene – episodi a quanto pare autobiografici – mi è parsa meno interessante, mentre si è confermato nella sua profondità e complessità il personaggio di Clary, la ragazzina in attesa del padre disperso durante la ritirata di Dunkirk. 
Sempre restando in tema di seconda guerra mondiale, vale davvero la pena di dedicare un’ora o due al racconto di Katherine Kressman Taylor Destinatario sconosciuto (Rizzoli). Questo breve scritto, che risale al 1938 ma è diventato famoso solo nel 1999 (in traduzione francese), riporta la corrispondenza epistolare tra due amici di lunga data comproprietari di una galleria d’arte di San Francisco: il primo, ebreo, vive in America; il secondo è rimasto a Monaco e si dimostra sempre più accecato dalle follie megalomani di Hitler. Lo sviluppo del rapporto tra i due è a un tempo travolgente e agghiacciante, fino al lapidario colpo di scena finale. 
Hotel du Lac (Neri Pozza) è il romanzo di Anita Brookner premiato con il Booker Prize nel 1984. È la storia della scrittrice Edith Hope, che a seguito di uno scandalo viene invitata dagli amici ad autoesiliarsi in un hotel sul Lago di Ginevra. Il racconto degli incontri di Edith ricorda l’ironia di Elizabeth von Arnim, mentre il processo di autoanalisi compiuto dalla protagonista potrebbe far pensare alla scrittura di Edith Wharton. Sottile e significativo è il ritratto che la donna dà di se stessa: «parecchi hanno rilevato la mia rassomiglianza fisica con Virginia Woolf; possiedo una casa, pago le tasse, sono una buona cuoca e consegno i miei dattiloscritti molto prima della scadenza; firmo tutto quello che mi viene sottoposto, non telefono mai al mio editore e non mi vanto affatto del mio particolare modo di scrivere, anche se mi rendo conto che vende piuttosto bene» (trad. it. di Marco Papi).