17 agosto 2020

The Secrets We Kept, di Lara Prescott

The Secrets We Kept (edizione italiana DeA Planeta, con il titolo Non siamo mai stati qui), uscito l’anno scorso, è il romanzo d’esordio della scrittrice americana Lara Prescott. L’ho letto nell’arco di due giorni, perché è un libro appassionante, non sempre semplice da seguire per la continua fluttuazione della voce narrante, ma che alla fine delle sue oltre quattrocento pagine riallaccia tutti i fili della trama e lascia al lettore le sue soddisfazioni. 
The Secrets We Kept è la storia di tre donne e di un libro. Il libro è Il dottor Živago, il monumentale romanzo sulla guerra civile che seguì alla Rivoluzione d’Ottobre, che segnò la vita e il destino del suo autore, Boris Pasternak. La tormentata storia della pubblicazione di Živago è nota ed è stata oggetto di innumerevoli studi e articoli: terminato a metà degli anni Cinquanta, fu rifiutato da tutti gli editori russi a cui si erano rivolti Pasternak e la sua amante Olga (che fu la sua musa, il modello per Lara, nonché una sorta di agente letterario). Il testo fu consegnato dall’autore a Sergio D’Angelo, collaboratore di Giangiacomo Feltrinelli, che andò a prenderselo di persona nella dacia di Pasternak, lo trasportò in segreto nel settore occidentale e lo fece giungere a Milano, dove fu stampato e pubblicato nel 1957 con traduzione di Pietro Zveteremich. 
Le tre donne del romanzo di Prescott sono la stessa Olga e due impiegate dell’Office of Strategic Services statunitense – insomma, due spie – che a diverso titolo vengono coinvolte nell’operazione di reintroduzione del romanzo in Unione Sovietica. Il dottor Živago, infatti, che grazie al film che ne è stato tratto è rimasto nell’immaginario collettivo come una travolgente storia d’amore e che contribuì massicciamente all’assegnazione del Premio Nobel per il suo tragico ritratto di un’epoca di repressione e di sangue (Pasternak fu costretto dal governo a rifiutare il riconoscimento), fu anche un’efficace arma politica negli anni della Guerra Fredda: i servizi segreti del blocco occidentale se ne servirono come strumento di propaganda, facendolo rientrare di nascosto, e in lingua originale, nella patria in cui era stato censurato. Irina e Sally, le due spie di The Secrets We Kept, sono due delle pedine implicate nell’operazione, ma sono anche due riusciti personaggi femminili per cui Prescott inventa una storia del tutto personale, drammatica e, in qualche modo, storicamente doverosa. 
Olga Ivinskaya e Boris Pasternak
(immagine: pasternak-trust.org)
Di Olga Ivinskaya, la figura storica del terzetto, esistono diverse biografie (tra cui quella della pronipote dello scrittore, Anna Pasternak, che ha intentato causa contro la Penguin Random House per le eccessive somiglianze con il proprio libro dei capitoli dedicati a Olga in The Secrets We Kept). Tuttavia, il romanzo di Prescott, anche grazie all’uso della prima persona, ha il pregio di offrirci sprazzi notevolmente vividi della vita di Olga, della sua passione per Boris e delle disumane conseguenze a cui la donna si votò per amore di Pasternak. Gli anni trascorsi nel gulag a causa del “pensiero antisovietico” legato alla sua relazione con lo scrittore occupano la prima parte del libro attraverso l’uso di un linguaggio e di immagini che non fanno sconti, che ci impongono la loro durezza, com’è giusto che sia. 
Dicevo in apertura che in The Secrets We Kept, che intreccia la realtà storica alla finzione, la voce narrante in prima persona cambia continuamente. Se all’inizio questo espediente rischia di disorientarci, proseguendo con la lettura ci si abitua a entrare di volta in volta, di capitolo in capitolo, nei panni di questa voce sempre differente, che può essere quella di Olga, o quella di Sally, o quella di Irina, oppure – e questo è un dettaglio che ho apprezzato in particolare – la voce collettiva delle cosiddette “dattilografe” dell’Office of Strategic Services: un gruppo di donne laureate, ambiziose e preparate, che pur essendo titolate a una carriera nei Servizi, sono relegate alla macchina da scrivere, senza aver mai la possibilità di esprimere un’opinione. 
Queste donne, che i loro capi vogliono mantenere in una condizione di invisibilità, passano apparentemente l’intera giornata a scrivere e a chiacchierare a bassa voce; ma la verità è che ascoltano, osservano, vivono e sono a conoscenza di ogni cosa, regalandoci un punto di vista corale che rende ancor più intenso questo racconto, fino alla sua ultima pagina.

15 agosto 2020

Webinar: "A casa con Jane Austen"

Cari lettori di Ipsa Legit, la scorsa primavera, durante l'isolamento, ho preparato per la Jane Austen Society of Italy un webinar (seminario in rete) in sei puntate intitolato In casa con Jane Austen

In ognuno dei sei capitoli del seminario ho tentato di esplorare il significato della casa nella biografia e, soprattutto, nelle opere della scrittrice, prendendo spunto dal mio libro Le case di Jane Austen (pubblicato da flower-ed nel 2017). 

Oggi, approfittando dell'estate e della festività, metto anche a vostra disposizione il link alle sei puntate del webinar, sperando che possano essere un gradevole passatempo per trascorrere quest'ultima parte di agosto (che siate al lavoro, in vacanza, oppure a casa). 

Potete accedere alla playlist delle sei puntate cliccando qui: 
https://www.youtube.com/playlist?list=PLb1WomCWAlKxfGAC_MZI8DklXzb9MRgxB

Buona visione! 

8 agosto 2020

The Jane Austen Society, di Natalie Jenner

Come ormai d’abitudine, le mie estati sono anche dedicate alla costruzione di un nuovo numero di Due pollici d’avorio, la rivista della Jane Austen Society of Italy. Per la nuova uscita, prevista il prossimo ottobre, ho scritto due articoli, ho elaborato un paio di rubriche e per collaborare a uno dei pezzi che vi saranno contenuti (sul quale non posso rivelare niente, ma è una grande sorpresa!) ho letto The Jane Austen Society di Natalie Jenner, pubblicato da St. Martin’s Press lo scorso maggio. 

Questo romanzo, che non intende riportare fatti storici, racconta la nascita della prima associazione dedicata a Jane Austen e lo fa mettendo in scena otto personaggi di incredibile spessore, che si riuniscono in virtù del loro comune amore per la scrittrice; il centro della narrazione è Chawton, dove il gruppo di ammiratori intende tentare di acquistare il cottage per evitarne la caduta in rovina e onorare la vita e le opere dell’autrice. L’aspetto più allettante del libro sono, naturalmente, i continui riferimenti a Austen: ai suoi personaggi, alle sue storie, alla straordinaria eredità che ha lasciato ai posteri e al legame – per qualcuno incredibile, magari intangibile, ma nello stesso tempo indistruttibile – che i lettori sentono con lei. In particolare, gli otto membri della Jane Austen Society sono entrati in sintonia con la scrittrice e tra loro in virtù di una sofferenza intima e lacerante che tutti hanno vissuto, ma dalla quale hanno trovato, in qualche modo (e anche grazie alla letteratura), il modo di riaversi. 
Questo libro è una storia di recupero, di guarigione, di capacità di assorbire il dolore, di appropriarsene, e dunque di rialzarsi. Traduco solo uno dei passaggi che ho sottolineato, che sono davvero numerosi: “Durante la Grande Guerra, i soldati colpiti da stress post-traumatico erano stati incoraggiati a leggere in particolare Jane Austen – Kipling aveva affrontato il lutto per la perdita del figlio morto al fronte leggendo i libri di Austen ad alta voce alla sua famiglia, ogni sera – Winston Churchill li aveva usati di recente per superare la Seconda Guerra Mondiale. Adeline e il Dr. Gray avevano sempre amato la scrittura austeniana e potevano parlare per ore dei suoi personaggi; i suoi libri, oggi, alleviavano anche il loro dolore. […] Parte del conforto che ne traevano era l’eroismo della stessa Austen, che scrisse mentre era malata e disperata, guardando in faccia la propria morte precoce. Se ce l’aveva fatta lei, pensavano Adeline e il Dr. Gray, potevano farcela anche loro”. 
Adeline, il dottor Gray, Adam, Evie, Frances Knight: i personaggi del romanzo di Natalie Jenner , che decidono di fondare una società letteraria per salvare un'eredità che è patrimonio di tutti, sembrano creature reali, con le loro segrete angosce, la loro paura di vivere, il rimpianto, la difficoltà di aprirsi al mondo, la ribellione a un sistema sociale impietoso. Il magnete che li attrae verso lo stesso punto è Jane Austen, è il cottage di Chawton: e forse è soprattutto la necessità, che ci rende umani, di ritrovarci in una comunità, per affrontare così il futuro con più coraggio e più speranza.

Letture di un viaggio in Sicilia

In queste settimane, come sempre avviene d’estate, sto leggendo molto. Sto leggendo in modo piuttosto disordinato, scegliendo solo i titoli che mi suggerisce l’istinto, o che mi sono ispirati dalle uscite o dalle occasioni speciali. Tra i vari libri che mi hanno fatto compagnia ci sono stati L’inverno più nero di Carlo Lucarelli (Einaudi: una delle indagini del suo commissario De Luca, che ha il particolare pregio di mostrarci la più oscura ruvidezza di una Bologna in mano al nazifascismo) e, a un polo decisamente opposto, Fragole selvatiche di Angela Thirkell (Astoria: una specie di commedia romantica dell’Inghilterra del primo Novecento, notevole più che altro per la vividezza del ritratto dei rapporti sociali e per certi picchi di ironia). 
Lo scrittoio di Salvatore Quasimodo a Modica
Come succede con ogni viaggio, una vacanza in Sicilia mi ha offerto tantissimi spunti di ispirazione per nuove letture. Ho iniziato con un grande classico, che dopo aver semplicemente sfiorato al liceo (nella forma di un paio di brani tratti dall’antologia) non avevo più ripreso in mano: mi riferisco, naturalmente, al sontuoso Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Tra i vari passi che ho segnato sulla mia edizione Feltrinelli, acquistata per l’occasione in una libreria di Noto, una descrizione del giardino della dimora del Principe, tanto diversa dai giardini più freddi e pieni di vitalità a cui mi hanno abituata le mie letture inglesi: “Nel fondo una flora chiazzata di lichene giallonero esibiva rassegnata i suoi vezzi più che secolari; ai lati due panche sostenevano cuscini ravvoltolati e trapuntati, anch’essi di marmo grigio, e in un angolo l’oro di un albero di gaggìa intrometteva la propria allegria intempestiva. Da ogni zolla emanava la sensazione di un desiderio di bellezza presto fiaccato dalla pigrizia”. 
Tra le varie tappe del tour della regione ho avuto l’opportunità di visitare due fondamentali siti della letteratura italiana: la villa di Luigi Pirandello, appena fuori Agrigento (con il suggestivo angolo del parco dove il tronco di un pino sorveglia le ceneri del drammaturgo), e l’ancor più attraente casa natale di Salvatore Quasimodo a Modica. In questa piccola dimora abbarbicata in cima alla scalinata che sale dal centro della città barocca ci si muove a stento: sono tre stanze, ma sono dense del senso della scrittura. Lo studio, in particolare, ha come assorbito il lavoro del poeta, e sullo scrittoio imbevuto della luce che passa dalle finestre la macchina da scrivere, la penna, il calendario e le boccette d’inchiostro ben allineate hanno l’aria di racchiudere il segreto della fatica della letteratura. Sul tavolo sono stati sistemati anche i libri degli autori che Quasimodo ha contribuito a rendere celebri nel nostro paese grazie alle sue traduzioni: spiccano i lirici greci e Shakespeare, infilati con ordine in un portadocumenti. 
Un’ultima corrispondenza letteraria l’ho cercata l’ultimo giorno del viaggio, tornando verso Catania: sotto un sole rovente sono scesa al porto di Aci Trezza, dove gettava l’ancora la Provvidenza dei Malavoglia, e sono poi salita alla loro leggendaria casa del nespolo.

Aci Trezza, il porto (in alto: la casa del nespolo)