25 aprile 2018

Elizabeth Gaskell a Roma

Se nell’ultimo post, dedicato a Daisy Miller, ho parlato di Roma attraverso gli occhi di Henry James, in questa giornata di festa voglio tornare nella città eterna per raccontare le esperienze personali e letterarie di un’altra viaggiatrice illustre, Elizabeth Gaskell. L’autrice di Mogli e figlie e Nord e Sud desiderò per tutta la vita vedere l’Italia e lavorò alacremente per potersi permettere il tanto ambito viaggio: finalmente, il 23 febbraio 1857, dopo un tragitto lungo e accidentato, giunse in città insieme alle figlie maggiori, Marianne e Meta, e con loro fu ospite di William Wetmore Story e la moglie per una lunghissima e corroborante vacanza. 
The Angel of Grief è la statua in marmo scolpita da
William Wetmore Story per la tomba della moglie
Emelyn, al Cimitero Acattolico di Roma (anche
William fu poi sepolto sotto le sue ali)
William Wetmore Story era un appassionato d’arte e dopo essersi innamorato di Roma in occasione dei suoi primi soggiorni, aveva deciso di trasferirvisi stabilmente, diventando «il protagonista di spicco di un circolo cosmopolita i cui rituali – tutt’altro che immobili ma anzi in continua trasformazione – egli stesso avrebbe contribuito a codificare perfettamente anche grazie ai felici rapporti con l’ambiente culturale e aristocratico romano» (B. Bini, L’esilio dorato di William Wetmore Story). Nel corso degli anni, William ed Emelyn furono il punto di riferimento a Roma per una miriade di espatriati e viaggiatori anglo-americani: tra loro Thackeray, Robert Browning, il generale Grant e i primi ministri inglesi, Charles Sumner, Leigh Hunt, Henry James (che ne avrebbe scritto la biografia) e la nostra Mrs. Gaskell, che soggiornò nella casa dei coniugi in via Sant’Isidoro.
Di questo luogo Elizabeth avrebbe scritto in una lettera (482): «Via Sant’Isidoro, con la luce ambrata del sole che scendeva dai tetti romani grigio-dorati, i colli Sabini da una parte e il Vaticano dall’altra…». In Delitto di una notte buia leggiamo il solo episodio italiano di tutta la narrativa gaskelliana: un episodio autobiografico (riportato anche in una lettera della figlia Meta risalente al 1910), che ricorda proprio il martedì grasso di quel 1857, quando Elizabeth poté godere dello spettacolo della processione carnevalesca affacciata al balcone degli Story.
Scrive Gaskell: «Così venne marzo; la Quaresima cadeva tardi quell’anno. Grosssi mazzi di violette e di camelie venivano venduti all’angolo di via Condotti e i festaioli non avevano alcuna difficoltà a procurarsi fiori ancor più rari per le belle del Corso. […] Mrs. Forbes aveva preso in affitto un balcone privato, come si addiceva a una rispettabile e danarosa gentildonna inglese. Le ragazze avevano un grosso cesto pieno di mazzolini di fiori da gettare agli amici nella folla di sotto; numerosi moccoletti erano impilati sul tavolo alle loro spalle, perché era l’ultimo giorno di Carnevale e, non appena fosse sceso il crepuscolo, si sarebbero accese le candele, che tutti avrebbero tentato in ogni modo e altrettanto velocemente di spegnere» (Croce 2017, trad. it. di M. Barbuni, p. 213). 
Nel corso della sua vacanza romana, Elizabeth poté incontrare nuovamente e stringere una forte amicizia con Charles Eliot Norton, un giovane critico d’arte americano che soggiornava a Piazza di Spagna e che accompagnò lei e le sue figlie a visitare tutte le meraviglie della città: il Colosseo, Villa Borghese, San Pietro… Elizabeth avrebbe scritto in una lettera (375) di qualche anno dopo: «Fu in quegli incantati giorni romani che la mia vita giunse al suo culmine». 
Il viaggio di Elizabeth a Roma e in Italia è oggetto del capitolo “Incanto italiano” del mio libro Sui passi di Elizabeth Gaskell (Jo March 2016) e a quanto pare sarà anche il tema, romanzato, di un’opera di narrativa che uscirà la prossima estate, a firma della scrittrice e studiosa inglese Nell Stevens: il libro si intitolerà Mrs. Gaskell and Me (negli Stati Uniti, invece, The Victorian and the Romantic) e presumibilmente si occuperà anche del forte e affettuoso legame tra Elizabeth e Charles Eliot Norton – che fu, tra le altre cose, traduttore della Divina Commedia. Un insieme di intrecci davvero suggestivo, che non possiamo fare a meno di attendere con trepidazione!

22 aprile 2018

Daisy Miller

Dopo un inverno lungo e freddo, in questi ultimi giorni anche qui fra i monti ci immergiamo nella primavera, e io ne sto approfittando per leggere en plein air, e soprattutto per ritornare a uno scrittore che è e resterà forse per sempre il mio più amato – lo scrittore che mi ha svelato la bellezza sconfinata del leggere in inglese, e che ha influenzato, in un modo o nell’altro, un’ampia porzione della mia vita (e di questo blog). 
Lo scrittore è Henry James. Il mio primo incontro con la sua penna risale ai primi anni dell’università, quando scoprii, come una specie di illuminazione, Ritratto di signora. Da allora in avanti non feci che cercarlo e inseguirlo, entrando nelle librerie anche solo per scorrere il suo scaffale, anche solo per desiderare di potermi portare a casa la sua opera completa. Alla fine degli studi magistrali, nel momento della scelta della tesi, era a lui che avrei voluto dedicare la mia ricerca: a lui e in particolare al rapporto tra le sue opere e i luoghi di ambientazione. Non potei perseguire questo progetto a causa di particolari dinamiche di dipartimento (un rimpianto che non mi lascerà mai), e il mio percorso di studi si spostò dunque su Elizabeth Gaskell prima e sulle scrittrici del Romanticismo inglese più avanti. Tante cose sono cambiate da quel tempo, le vicende della vita mi hanno portata lontano dall’accademia e in giro per l’Europa, ma il ricordo di Henry James è stato sempre presente, e dovunque mi sia spostata ho sempre ricercato quella sua bellezza, quei suoi luoghi, appunto, che fanno di lui per me una sorta di oracolo della letteratura e del viaggio. 
Il castello di Chillon (Foto: IpsaLegit2016),
sul lago di Ginevra, che Daisy visita insieme a
Winterbourne. A questo luogo "byroniano"
ho dedicato il post Letteratura sul lago
In questi giorni di sole e aria profumata, dicevo, sono ritornata a James. Ho ripreso in mano Il carteggio Aspern, con i suoi struggenti ritratti veneziani, e ieri pomeriggio ho finito di rileggere Daisy Miller nella mia edizione dei romanzi brevi dei “Meridiani” (Volume I; la trad. it. è di F. Mei). Daisy Miller è un racconto lungo del 1878. I protagonisti sono i classici personaggi jamesiani, due americani espatriati in Europa: Winterbourne e la deliziosa Daisy, di cui l’innocenza e l’inconsapevolezza dei costumi del Vecchio Mondo distruggeranno la reputazione, e non solo. La storia prende le mosse dalla Svizzera, a Vevey, e prosegue a Roma, e sono proprio l’austerità e la “vecchiaia” di questi luoghi a rendersi colpevoli della caduta di Daisy, che è una giovane donna troppo all’avanguardia per l’età in cui vive, che sceglie la propria strada a dispetto delle convenzioni e affidandosi unicamente al desiderio di libertà. Le giovani donne jamesiane soffrono quasi tutte di questa “malattia” intellettuale, così meravigliosa eppure così tragica: ed è molto spesso proprio in nome della loro libertà che vanno incontro alla tragedia. 
I Fori Romani, dove si consuma
la caduta di Daisy. (Foto: IpsaLegit2018)
Uno scritto didattico e di denuncia insieme, Daisy Miller è un testo, come di consueto per l’autore, stilisticamente perfetto, che nelle rappresentazioni dei luoghi – cruciali per le vicissitudini dei protagonisti – trova istanti di una bellezza purissima: «Pochi giorni dopo […] [Winterbourne] incontrò Daisy in quella bella dimora di fiorente desolazione chiamata il palazzo dei Cesari. La precoce primavera romana riempiva l’aria di profumi e di germogli, e la ruvida superficie del Palatino era ricoperta di verde tenero. Daisy passeggiava in cima ad uno di quei grandi mucchi di rovine, arginati da marmi muschiosi e lastricati di iscrizioni monumentali. Gli parve che Roma non fosse mai stata così bella».