25 agosto 2014

Berlino segreta

La scorsa settimana ho letto il breve romanzo di Franz Hessel Berlino segreta. Hessel (nato a Stettino nel 1880 e morto in Francia, in un campo di internamento, nel 1941; celebre per aver tradotto, insieme a Walter Benjamin, À la recherche du temps perdu di Marcel Proust) è considerato uno dei primi esponenti tedeschi della flânerie, ovvero dello stile di vita del gentiluomo che si dedica al vagabondaggio per le vie della sua città, incurante dell’urgenza frenetica della vita moderna. I risultati di questa Weltanschauung nella scrittura di Hessel sono il saggio Spazieren in Berlin (1929) e, appunto, Heimliches Berlin (1927, Berlino segreta, edito da Elliot Edizioni, che nel giugno del 2014 ha pubblicato anche un'antologia di brani di Hessel intitolata L'arte di andare a passeggio). Il saggio introduttivo, a cura di Eva Banchelli, di Berlino segreta è un ottimo punto di partenza per la “passeggiata” che il lettore intraprenderà insieme a Hessel per le vie di Berlino. In particolare, la curatrice sottolinea lo “sguardo del tutto particolare sulla città, capace di cogliere – al ritmo lento e pensoso dei passi – i segni che il tempo incide nella superficie della quotidianità.” 
Il libro è ambientato nel corso di una giornata primaverile del 1924 e ci accompagna a conoscere i destini di una manciata di berlinesi che affrontano la vita con un certo affanno, sempre intenti ad ambire (nostalgicamente) a qualcosa che, in un modo o nell’altro, sia diverso da ciò che li circonda. “Ho bisogno di andarmene” dice Karola, “andarmene ancora una volta in quello che chiamiamo vasto mondo, libertà e pericolo, prima di arrendermi definitivamente a incarnare i sogni dei miei cari, in attesa, speriamo non troppo lunga, di diventare vecchia.” Ma è vero anche che quei desideri sembrano già intrisi di delusione, e la loro realizzazione pare già contenere il germe di un’altra sofferenza e di un rinnovato bisogno di partire. Parlando del tempo presente governato dai soldi e dal consumismo, ma anche, in senso lato, del convulso anelito di ottenere qualcosa che non si possiede, il filosofo Clemens spiega al giovane Wendelin: “Non hai bisogno di stringere qualcosa in mano, ti si ridurrebbe a grigia cenere del passato tra le dita. Non prendere nulla, altrimenti un giorno finirai per gettarlo via.” 
La precarietà – per non dire la disperazione – economica generata dall’epoca storica in cui si sono trovati a vivere ha fatto di questi personaggi delle creature incerte: incerte nel lavoro, nelle emozioni, nell’identità personale e amorosa. Il loro muoversi su e giù per Berlino parla di un’inquietudine irrisolta che si traduce in costante bisogno di fuga, ed è così che le cavalcate nel Tiergarten, il Castello in Unter den Linden, Friedrichstrasse, i locali affacciati su Kurfürstendamm e le strade che potremmo tranquillamente riconoscere come appartenenti ai quartieri di Charlotteburg o Schöneberg si trasformano in luoghi di espressione dell’insoddisfazione, del senso di disequilibrio e di transitorietà, della fatica di vivere di chi si dedica all'arte, al pensiero e alla cultura – sentimenti che caratterizzano innegabilmente anche questi primi anni del ventunesimo secolo. 
La facciata della Literaturhaus. Foto di Mara Barbuni
Passeggiare a Charlottenburg oggi significa scivolare di nuovo nell’atmosfera elegante e già decadente della Berlino fra le due guerre. Lungo le strade ci si incanta a osservare edifici sontuosi e decine di cinema e di teatri, ristoranti e cabaret che hanno fatto la storia della parte occidentale della città. La via più suggestiva e più ammantata di belle époque è Fasanenstrasse, che ci mostra Villa Grisebach (oggi casa d’aste), con le sue inferriate color verde acqua e le torrette neogotiche, e la splendida Literaturhaus (la “casa della letteratura”), una villa tardo ottocentesca sede di conferenze e reading, con un caffè circondato da eleganti vetrate (perfetto per la pausa di un flâneur), una bellissima libreria e un magnifico giardino immerso nel silenzio, che sa davvero condurci fuori dal tempo.