28 ottobre 2012

The Turn of the Screw


Sono calate le temperature, da tutto il giorno non fa che piovere e un forte vento scuote da ore gli alberi del cortile, immersi nell’oscurità precoce. Tra pochi giorni è Halloween, e per celebrare la sua atmosfera, gravida di ombre e di mistero, ho riaperto Il giro di vite (edizione Meridiani Mondadori), il racconto di fantasmi che Henry James pubblicò nel 1898. 
The Turn of the Screw (con il suo incipit ho inaugurato questo blog, tanto tempo fa…) è una storia che raduna molti dei topoi tipici della narrativa gotica: una maestosa e remota dimora, due bambini dal passato ambiguo, la solitudine di una giovane donna e i suoi incontri con apparizioni che tanto assomigliano a fantasmi. L’io narrante è quello di un’istitutrice assunta da un gentiluomo affascinante e misterioso per prendersi cura dei due nipotini di lui, Flora e Miles. La giovane si trasferisce così nella lontana e solinga Bly (Essex), e mentre nelle prime settimane non fa che gioire della propria nuova condizione (i bambini, ella scrive, sono deliziosi e non le danno alcuna preoccupazione), con l’andare del tempo l’atmosfera intorno a lei si fa gradatamente cupa e spaventosa. La giovane inizia infatti a vedere nei dintorni, e anche dentro casa, due personaggi, un uomo con i capelli rossi e una donna vestita a lutto. Grazie ai racconti della governante di Bly, Mrs Grose, ella scopre che i due non sono esseri in carne ed ossa, poiché la loro descrizione corrisponde ai tratti di due impiegati della casa (la prima istitutrice e il giardiniere) entrambi morti in circostanze terribili. La narratrice riempie le pagine del proprio spavento, delle proprie notti insonni e della propria preoccupazione per le sorti dei bambini, in un crescendo di terrore che raggiunge il culmine quando la donna realizza che Miles e Flora non sono le vittime, ma i complici della sottile tortura psicologica alla quale i “fantasmi” la stanno sottoponendo. 
L'istitutrice impersonata da Michelle Dockery
nella versione cinematografica del 2009
La genialità e la forza di Il giro di vite stanno proprio, come è frequente nella narrativa di Henry James (ineguagliabile maestro di scrittura), nel valore psicologico della vicenda e della sua ricezione. Straordinario esempio di letteratura modernista, questo racconto si distingue per le sue mancate verità, e per la molteplicità delle sue possibili interpretazioni. La vicenda è narrata da un autore fisico (James) che parla di un personaggio (Douglas) che legge ad alcuni amici il diario di una donna (l’istitutrice) di cui è stato innamorato. I filtri attraverso i quali il resoconto della vicenda raggiunge noi lettori sono così numerosi che non possiamo che interrogarci sulla sua completa veridicità. Inoltre la scrittura è così perfetta e sospinta da un climax così potente che ci lasciamo suggestionare dalla vicenda narrata a tal punto da non comprendere dove stia il confine tra realtà e immaginazione: esistono davvero i fantasmi? o vivono essi sono nella mente dell’istitutrice? cosa sanno, davvero, Miles e Flora? e una domanda che ha infestato la mia personale esperienza di lettura… e se il fantasma fosse l’istitutrice stessa?
Il giro di vite è un capolavoro della letteratura che è stato oggetto di infiniti studi critici, ma del quale è stato impossibile sciogliere tutti i nodi e risolvere gli innumerevoli enigmi. Come per ogni grande classico della scrittura, sta a noi, a noi lettori, sprofondare negli abissi di questa storia alla ricerca della nostra verità; e sarà la nostra fantasia a illuminare gli angoli bui che il narratore ha voluto lasciare sospesi, arcani, per rendere la propria opera definitivamente immortale.