1 ottobre 2012

Il magnetismo della nobiltà

Sono reduce dalla lettura dell'ultima fatica di Antonio Caprarica, La classe non è acqua, una piacevole e sofisticata (come'è tipico dell'autore) passeggiata fra aneddoti, leggende e fatti della nobiltà britannica. Il giornalista ci accompagna tra i sontuosi manors e stately homes che costellano il Paese e ci porta quasi a frugare nelle camere da letto padronali, fra gli oscuri corridoi e fin dentro i sottoscala, ad aprire segreti scrittoi alla ricerca di notizie, fotografie, lettere e conti che rivelino cosa è stata e cosa ancora è la piramide nobiliare del Regno di Elisabetta II. Dai più semplici baronetti fino alle splendenti coroncine ducali, dai tempi di Cromwell fino all'età di Kate Middleton, La classe non è acqua risveglia echi di solennità, lusso e potenza, che lungi dal farci (o, meglio, farmi) inorridire, cercano di gettare una luce sull'immortalità della Corona inglese e sulla immutabile stabilità delle tradizioni dei Pari. 
Ispirata da questo libro e dal tempo piuttosto "British", ho trascorso quest'ultimo weekend a godermi un capolavoro televisivo che per la sua qualità narrativa non ha niente da invidiare ad un romanzo perfetto. Sto parlando della seconda stagione di Downton Abbey, di cui ho visto (in inglese, perché in italiano non è ancora disponibile... forse sarà trasmesso il prossimo inverno?) i primi quattro episodi. Considerando che ho adorato la prima serie (ne ho parlato in un post omonimo), temevo che questo seguito non sarebbe riuscito ad eguagliarne i fasti e la sorprendente bellezza. La smentita mi ha riempito di soddisfazione. Il sequel, ambientato nel pieno della prima guerra mondiale, richiama sulla scena i personaggi che avevamo imparato ad ammirare, a comprendere o a detestare e aggiunge loro sapienti pennellate di personalità e nuove avventure da affrontare. 
Il fascino di Downton Abbey (citato anche da Caprarica come eccezionale fenomeno sociale di passione massa, come accadeva per gli sceneggiati di tanti anni fa) sta proprio nella sua capacità di evocare un'atmosfera e di incantarci nella consapevolezza di un mondo perduto, non così lontano, pieno di eleganza, e spazzato via nel pieno della sua inconsapevolezza da una guerra che è stata solo il primo - ma forse per questo tra i più terribili - dei traumi patiti dal Novecento. C'è un fotogramma della breve ma splendida sigla iniziale che rende perfettamente questa idea di caducità: un vaso di prezioso cristallo traboccante di rose, e di colpo un petalo che perde vita e cade, inerte, sul ripiano di lucido legno.

Dyrham Park, che ha fornito gli esterni per
Quel che resta del giorno con Anthony Hopkins ed Emma Thompson (1993)

Tale è il seguito che Downton ha saputo raccogliere che anche i romanzi "a tema" (simpaticamente chiamati "Downton Abbey-esque" sul social network Goodreads) stanno conoscendo un grande successo, nuovo oppure recuperato. E' il caso di The House at Riverton di Kate Morton (l'ho recensito nello stesso post che ho citato sopra), che Sonzogno ha pubblicato in italiano con il titolo di Ritorno a Riverton Manor, forse in omaggio ad un altro di questi libri, il Ritorno a Brideshead (Brideshead Revisited) di Evelyn Waugh; è il caso della mia corrente lettura, The Orchid House di Lucinda Riley (in italiano Il giardino degli incontri segreti); dell'eccellente e sempre affascinante Quel che resta del giorno (The Remains of the Day) di Kazuo Ishiguro; ed è il caso di una trilogia che promette benissimo, la Swallowcliffe Hall Trilogy di Jennie Walters, che mi sono procurata di recente. Anche questa è la storia delle vicende primonovecentesche di una English country house, e sto solo aspettando di avere tanto tempo da dedicarci per intraprenderne la lunga lettura.