In questi ultimi tempi ho poco tempo per qualsiasi cosa, e
contrariamente al solito persino la lettura ne sta risentendo. Questo terribile
corso di abilitazione all’insegnamento mi sta prosciugando di ogni energia, e
la cosa peggiore è che mi allontana dalla libreria e persino dal mio blog. In
questo post voglio quindi riassumere un’esperienza di lettura terminata già da
un pezzo, mentre nel prossimo intendo concedermi un attimo di pura
soddisfazione nel commentare il libro che in queste sere allieta quei pochi
minuti di letterale sopravvivenza che mi separano dal sonno dei giusti.
Veniamo al dunque. Ho terminato il primo romanzo non per
ragazzi di J.K. Rowling, l’universalmente acclamata mamma di Harry Potter. Vi è
mai capitato di entrare in un libro che non vi piace ma che non riuscite ad
abbandonare? È stato il caso di Il seggio
vacante, un racconto che non mi è piaciuto a causa dei suoi contenuti ma
che è stato impossibile interrompere perché la scrittura è indubbiamente di
altissimo livello. Non mi sono mai inoltrata nelle mostruose (nel senso latino
di “prodigiose”) atmosfere di Harry Potter, e la sapienza stilistica di Rowling
mi ha davvero sorpresa e avvinta. La storia, però, concentrata sulle vicende di
una (antonomastica?) piccola cittadina inglese sconvolta dall’improvvisa morte
di uno dei consiglieri comunali, è un ritratto che definire cinico sarebbe un
eufemismo. Il racconto abbonda di cattivi sentimenti, gli adulti sono tutti
ambizione e frustrazione e gli adolescenti sono ritratti come piccole bestie
dominate solo dagli istinti. Poco spazio è lasciato alla speranza. La crudeltà,
l’interesse, il pregiudizio, il bullismo, la pura cattiveria e infine la
disperazione sono gli ingredienti di questo libro. Dipingono essi fedelmente la
realtà? Potrebbe essere. I cittadini rappresentativi di un villaggetto di
campagna sono tutti boriosi e razzisti, le donne sono tutte tormentate da un
senso di fallimento, i ragazzi sono tutti ferocemente antiromantici? Potrebbe
essere. Se così è, Il seggio vacante
è un’immagine perfetta e ottimamente strutturata della quotidianità dei nostri
giorni (che non ha niente a che fare, dunque, con i paesaggi sociali dell’Ispettore Barnaby…). E se così è, c’è
davvero bisogno di un best-seller per aprirci gli occhi su questa realtà?