28 novembre 2018

The Clockmaker's Daughter, l'ultimo romanzo di Kate Morton

Negli ultimi giorni ho finalmente trovato la giusta tranquillità per godermi il più recente romanzo di Kate Morton, uscito a settembre. Di questa scrittrice ho letto tutti i libri, dal suo esordio The House at Riverton, passando per The Forgotten Garden, The Distant Hours (fino ad ora il mio preferito) e The Secret Keeper, fino a The Lake House. Ho aspettato per mesi che Kate Morton finisse di scrivere la sua ultima opera – ed è molto piacevole seguire le varie fasi della stesura e della pubblicazione sul suo diario Instagram – e ora che il libro è finito sono felice di poter dire che valeva davvero la pena attenderlo. 
The Clockmaker’s Daughter (in italiano il titolo è stato tradotto in La donna del ritratto) è un grande libro, di quelli che trascinano il lettore al centro del loro vortice, distraendolo da tutto ciò che resta fuori dalle pagine. Chiudendo l’ultimo capitolo mi sono chiesta come riesca questa autrice, un libro dopo l’altro, a migliorare così fortemente la propria scrittura e la propria abilità di gestione della struttura narrativa. Se infatti The Lake House era apparso un po’ più semplice e “accessibile” dei precedenti, con The Clockmaker’s Daughter Morton torna agli altissimi livelli di The Secret Keeper, e addirittura si spinge oltre, coraggiosamente, e lascia dietro di sé i limiti della sequenzialità temporale tradizionale per inoltrarsi in una narrazione sofisticata e travolgente. 
Questo libro, infatti, si costruisce e si genera dall’intreccio di piani temporali diversi, che continuano a intersecarsi e che rappresentano la rivoluzione scientifica in atto nel passaggio tra diciannovesimo e ventesimo secolo. La molteplicità dei piani storici consente all’autrice di portare sulla scena numerosi personaggi, di cui seguiamo con passione le lunghe storie individuali, consapevoli e fiduciosi che alla fine i pezzi del puzzle si riuniranno in una trionfale conclusione (e Morton non ci delude). La presentazione di tali personaggi è del tutto atipica: ci vengono introdotti lentamente, a tratti distinti, prima riempiendoci di dubbi e straniamento e poi esprimendosi in tutta la loro potenzialità quando già ci siamo affezionati a loro. 
Kate Morton a Francoforte
(Foto: IpsaLegit 2015)
Con la sua solita, splendida, ricercata, musicale ed evocativa lingua inglese, la scrittrice ci regala un sapiente ritratto completo di tutte le sfumature della cultura tardovittoriana, concentrandosi in particolare sull’affascinante ruolo della fotografia, che rappresenta con insistenza il valore dei ricordi – cifra principale della scrittura di Morton –; non è un caso infatti che la voce narrante continui a ripetere «I remember everything». 
La sensazione che ho avuto è che Morton pare recuperare, in questo libro, tutte le idee dei suoi romanzi precedenti (il ricordo, il valore psicologico degli oggetti, la forza ancestrale della fiaba, …), intrecciandole, migliorandole e riempiendole di ulteriore significato, in una sorta di implementazione e di riconoscimento di senso. Per un lettore, superfluo dirlo, questa è una sensazione bellissima. 
Non voglio raccontarvi cosa accade in questo libro, perché oltre alle caratteristiche stilistiche a cui ho accennato qui, la sua bellezza sta nella perfetta architettura della trama: il solo aspetto che voglio sottolineare, per me importantissimo in ogni espressione letteraria, è la forza della presenza della casa, di cui l’eroina eponima è la personificazione. È come se fosse la casa stessa a raccontare questa storia; e come questo possa accadere, lo scoprirete inoltrandovi in questo romanzo. Abbandonate i vostri punti di riferimento razionali e lasciate che queste pagine vi trasportino in un altro spazio, in altri tempi: sarà una bellissima esperienza di lettura.