5 febbraio 2014

L'età del desiderio

Parafrasando il titolo del (forse) più celebre libro di Edith Wharton, L'età dell'innocenza, Jennie Fields racconta, romanzandola, una parte della biografia della scrittrice americana in L'età del desiderio, pubblicato in Italia da Neri Pozza con la traduzione di Laura Prandino.
Nel sito internet di Fields (http://jenniefields.com/), il libro, basato sulla corrispondenza privata tra Wharton e Anna Bahlmann, è descritto come "un romanzo sontuoso e coinvolgente ambientato nei primi anni del ventesimo secolo, [che racconta] la storia della relazione adulterina e del risveglio sessuale della scrittrice quarantacinquenne Edith Wharton con il giornalista Morton Fullerton. Questa relazione incide sulla vita di diverse persone, incluso il marito di lei, Teddy, un inetto dalle buone intenzioni, e la fedele segretaria e cara amica Anna Bahlmann. Ambientato soprattutto a Parigi, il libro cattura l'età dei saloni letterari, delle automobili condotte dall'autista, degli incontri celati in caffè segreti, della devastante alluvione di Parigi del 1910 e degli oscuri primordi della Grande Guerra."
Tutto vero, ma la bellezza del libro sta altrove. Gli aspetti elencati in questa descrizione costituiscono l'armatura della storia, ma non sono, a mio parere, i più riusciti. Lo spiantato libertino Fullerton non ha nulla del personaggio intrigante e indimenticabile che dovrebbe giustificare la smodata passione della scrittrice; lei stessa appare purtroppo come una figura bidimensionale, troppo spiccatamente egoista (quasi indifferente alla malattia del marito, riconosciuta in seguito come una sindrome maniaco-depressiva), una donna la cui inquietudine non riesce a scavare nel profondo e a restituirci un ritratto autentico. Sorge spontanea una domanda: valeva la pena rendere pubblica la corrispondenza privata della scrittrice se il risultato che ne deriva è un'immagine di lei così scialba e soprattutto "funzionale" a un racconto che ambisce più che altro a essere pruriginoso? Che ne è dello straordinario talento creativo e psicologico di colei che vinse, prima donna in assoluto, il Premio Pulitzer, e che fu giudicata fra i più brillanti scrittori della sua generazione (e non solo)? Era davvero necessario scoprire questa parte della sua vita, quasi per affermare che le altezze della sua arte ne fossero la diretta conseguenza?
A molti interessa la biografia dei grandi autori, perché spesso conoscerla significa comprendere la loro opera, interpretare i loro silenzi, scavare nelle difficoltà compositive per scoprire un messaggio di grande portata - estetica, morale o spirituale che sia. Trovo che in questo caso la rappresentazione romanzata della privacy di Wharton sia stata superflua.
Sono invece molto riuscite le rievocazioni degli ambienti: gli arredamenti delle case parigine, il fulgore delle passeggiate nel centro della città, la bellezza mozzafiato, perché travolgente e selvaggia, della dimora americana dei Wharton. Altrettanto intelligenti sono i cammei del bonario e caro amico della scrittrice, Henry James, e il racconto della storia personale della ex-governante e poi segretaria della scrittrice, Anna Bahlmann. Il suo personaggio è un buon ritratto femminile, più intenso e meno facile da dimenticare di quello della protagonista. La quale, invece, è stata un'autrice benedetta dal genio, e forse meritava molto più di questa tiepida immagine di repressione, di noia e di vacuità.