24 aprile 2013

La fattoria dei gelsomini

Ci sono libri che per mesi e mesi sogni di poter leggere. Li cerchi per ogni dove, consulti internet alla ricerca delle offerte, aspetti le promozioni, ma niente. Ogni volta (e sono numerose!) che entri in una libreria ti dirigi rapida verso "quello" scaffale, prendi il mano il volume tanto agognato e poi... lo riponi. Sarà per la prossima volta.
Poi, come per incanto, quel libro arriva. Un regalo. Non è una delle gioie più sopraffine?
Il mio "regalo" di qualche settimana fa è stato La fattoria dei gelsomini di Elizabeth von Arnim (ed. Bollati Boringhieri: la copertina impressionista è già da sola un tuffo nella bellezza). L'ho finito giusto la scorsa domenica, e con grande contentezza ho realizzato che le mie altissime aspettative sono state tutte pienamente soddisfatte - queste sensazioni, di questi tempi, dove le trovi se non nei libri? : )
La fattoria dei gelsomini è un capolavoro della scrittura di Arnim. Il fascino delle sue ambientazioni, che rievoca la maestria delle descrizioni già dimostrata in Un incantevole aprile (di cui ho scritto nel post omonimo), è qui replicato in una sapienza della trattazione psicologica degna delle grandi contemporanee di Arnim, sua cugina Katherine Mansfield e la suprema Virginia Woolf. Con il condimento di un'ironia imprescindibile e sempre luminosa (quasi austeniana), le menti delle donne di questo romanzo sono come case da esplorare, caratterizzate da spazi ampi e da anfratti oscuri, arricchite di gioielli ma anche ingombre di cianfrusaglie, e noi lettori le percorriamo di qui e di là, senza sapere bene se e cosa stiamo cercando, ma incantati dalla loro complessità. 
La storia gira tutta intorno ad un "incidente", un pettegolezzo, che a partire da uno scomodo e torrido pomeriggio in una casa dell'alta società, si ingrandisce gradatamente, si espande per tutta Londra, innesca un torbido meccanismo di ricatto e da il via a un movimento dei personaggi principali (che si trasferiscono tra i profumi inebrianti di un campo di gelsomini in Provenza) sulla base di rapporti interpersonali del tutto artefatti e per questo surreali. In particolare, il contrasto tra le due matriarche della vicenda, Daisy e Mumsie, e l'analisi minuta dei loro flussi di coscienza ci restituisce una sostanziosa materia di riflessione, e il nostro esercizio di pensiero spazia dalle regole non scritte nella società borghese alle limitazioni convenzionali imposte da un mondo ormai finito, morto - il vittorianesimo; dallo studio delle forme della bellezza alla constatazione della sua decadenza; dall'osservazione del conflitto di censo a quella sull'inevitabile, sottile, infelicità dell'uomo.
La fattoria dei gelsomini è un romanzo meraviglioso, che davvero vale il nostro preziosissimo tempo. Tra una chiacchiera e l'altra, tra una tazza di tè e un cioccolatino, ci sembra di sparire noi stessi in quelle pagine, ad assaporare il profumo della Francia meridionale con il suo sole limpido, i suoi cipressi ondeggianti, i suoi pozzi di pietra sommersi dai grappoli del glicine.