30 novembre 2016

Un dio in rovina

La scorsa settimana ho terminato di leggere un romanzo che entrerà immediatamente nella mia lista dei “da consigliare”. È Un dio in rovina di Kate Atkinson, un libro di quelli dai toni un po’ epici, che racconta la lunga storia di Teddy dalla prima giovinezza fino alla vecchiaia. I piani temporali della storia si intrecciano continuamente, ma la scrittura è così controllata che non ci si confonde mai. Teddy è un animo poeticissimo – il romanzo è cosparso di citazioni di versi, da Hopkins, Blake, Wordsworth, Shakespeare, ... – il cui unico desiderio è una vita semplice e agreste: «un uomo poteva misurare la propria vita in mietiture». Gli piace osservare i modi placidi della natura, gli insetti, le allodole, la forma delle foglie e dei fiori; ama le serate tranquille trascorse a leggere, in compagnia della moglie, davanti al caminetto; adora i cani della sua vita, suoi fedeli e commoventi amici. Lo spaccato storico presentato da questo libro sono gli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, a cui Teddy partecipa in prima persona, come aviatore della RAF. Il racconto della sua esperienza bellica è continuamente accennato, ma mai pienamente esplorato, se non alla fine del libro – e la spiegazione e lì, evidente, straniante e bellissima.
Il romanzo è pervaso dall’amore per i libri, il solo tratto che Viola, la figlia di Teddy, abbia ereditato dal padre: «la sua adolescenza era stata un soggiorno del XIX secolo, nelle brughiere delle sorelle Brontë o infastidita dai rigori dei salotti di Jane Austen. Il suo amore romantico era Dickens, lamica intransigente era George Eliot. Al momento, Viola stava rileggendo una vecchia edizione di Cranford». Altro tema fondante della storia, che però non si impone di prepotenza all’attenzione del lettore, è il ruolo del tempo, dentro e fuori la vita degli uomini. Il tempo è un’essenza che in questo libro cambia continuamente identità, passando dall’essere il semplice orologio dell’esistenza alla natura stessa dei ricordi; da dimensione storica e filosofica («Nel 1947 il tempo era ancora una quarta dimensione sulla quale si era certi di costruire la vita quotidiana») a enigma della narrazione, della nascita, dell’essere e della morte: entità astratta eppure concreta, che ci obbliga, nonostante tutto, a una sospensione del giudizio.
È sul tempo che si gioca il colpo di scena finale di questo romanzo. In Un dio in rovina, insomma, si trova un talento del narrare che non ho trovato comune negli autori contemporanei; la scrittura è bellissima (e la traduzione di A. Storti per questa edizione Nord le rende di certo onore), Teddy è un personaggio che entra nel cuore, e alcuni istanti, che passano come subitanei flash colmi di senso e di sensi, sono indimenticabili. «La distesa di grano era punteggiata di papaveri, macchioline di sangue sulloro»; «C’era soltanto un bellissimo silenzio ultraterreno. Pensò al bosco, alle campanule, al gufo e alla volpe, a un trenino Hornby che rullava sul pavimento della sua cameretta, al profumo di una torta in forno. L’allodola in ascensione sul filo del suo canto».