25 agosto 2015

Il giro del mondo di Agatha Christie

Il giorno di San Giorgio del 1924, a Wembley, Re Giorgio V inaugurò ufficialmente la British Empire Exhibition, una mastodontica esposizione dedicata alla celebrazione delle glorie dell’impero britannico. Vi parteciparono 56 delle 58 colonie allora appartenenti all’impero, ciascuna impegnata a presentare la propria identità culturale e commerciale, e incoraggiata a stringere legami con le altre. L’organizzazione di un evento così epocale richiese un viaggio preparatorio intorno al mondo – al fine di visitare i territori e di invitare i coloni alla partecipazione – che cominciò il 20 gennaio 1922 e durò in tutto 10 mesi. Alle dipendenze del collerico Maggiore Ernest Belcher, primo responsabile del tour, c’era anche Archie Christie, che portò con sé la moglie Agatha. La scrittrice raccontò questa esperienza ai limiti del leggendario nelle lettere spedite alla madre tanto amata, nel diario di viaggio e con decine di fotografie, che costituiscono un vero e proprio tesoro storico e letterario. Nel 2012 Mathew Prichard, nipote di Agatha (figlio della sua unica figlia, Rosalind) e proprietario dei diritti d’autore delle sue opere, ha riscoperto il materiale ordinatamente raccolto in una serie di scatole a Greenway – la residenza della scrittrice nel Devonshire – e lo ha pubblicato in The Grand Tour, che Mondadori ha tradotto con il titolo di Il giro del mondo. Album di lettere e fotografie (trad. it. di Giulia Failla). 
Il libro è davvero appassionante, e per varie ragioni. Prima di tutto si scopre uno stile di scrittura piuttosto differente da quello che caratterizza i grandi gialli di Christie: qui abbondano punti esclamativi, ironia, colori, e la testimonianza non filtrata dell’incanto risvegliato in lei dalle bellezze della natura (delle destinazioni del viaggio – Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Hawaii – nel cuore di Agatha rimasero soprattutto i paesaggi della Nuova Zelanda e la potenza sublime delle Cascate Vittoria). In secondo luogo si conosce la giovane Agatha, una donna frizzante, energica, ansiosa di abbracciare il mondo, che a Honolulu volle imparare a surfare, che giocava a tennis e golf, che sapeva intrattenere una conversazione con chiunque (principi, diplomatici, industriali, allevatori, proprietari terrieri, signore dell’aristocrazia e mogli dei coloni), e che intraprese una crociera attorno al mondo nonostante soffrisse di un mal di mare quasi invalidante. È la Agatha dei primi romanzi (nel 1922 Poirot era “appena nato”), ma è soprattutto la Agatha fiduciosa degli anni precedenti al doloroso divorzio da Archie. 
Agatha Christie con la tavola da surf
Ultimo ma non ultimo aspetto avvincente di questa raccolta è il ritratto del mondo coloniale degli anni Venti, naturalmente visto attraverso gli occhi degli inglesi. È curioso entrare nelle fattorie e nelle fabbriche dei coloni britannici sparsi per il mondo, anche perché la loro esistenza sembra immersa in un’atmosfera distaccata dalla realtà e dalla storia – e per questo tragicamente fragile. La veloce testimonianza delle sommosse a Città del Capo, dove la comitiva di Agatha si ritrova impossibilitata a muoversi a causa dei lavoratori in sciopero a favore dell’apartheid, ci dimostra che il cuore di tenebra dell’imperialismo è lì, presente, anche se nessuno ha l’intenzione e il coraggio di affrontarlo per ciò che è. E quell’Inghilterra fastosa e imbattibile sembra già iniziare ad avere sentore della propria fine.