14 ottobre 2014

Il giorno che morì Stalin

La casa editrice pisana ETS ha di recente inaugurato una nuova collana, tutta dedicata alla narrativa di lingua inglese: si chiama “Papyngo”, è diretta da Franco Marucci e promette la (ri)scoperta di piccole gemme di letteratura. 
L’esordio della collana è affidato a un racconto del premio Nobel Doris Lessing, Il giorno che morì Stalin, che a mio parere è uno fra i più interessanti della sua produzione “breve”. Al di là della indiscutibile pregevolezza della narrazione e della bellezza dell’oggetto-libro, che è decisamente molto curato – carattere chiaro, impaginazione pulita e carta particolarmente piacevole al tatto –, ciò che sicuramente incanterà il lettore sono l’alta qualità della traduzione (di Bianca Tarozzi) e la forza della sezione critica che precede il racconto, firmata da Cristina Gamberi. 
Non è facile, di questi tempi (in cui le pubblicazioni sono quasi compulsive, e l’editoria non ha abbastanza tempo a disposizione per dedicarsi alla cura del valore dei paratesti), trovare introduzioni così “dense” e interessanti. Queste pagine esplorano il mondo e l’opera di Doris Lessing, seppur brevemente, con grande attenzione, e sono indispensabili (altra cosa piuttosto rara) per il godimento del racconto che segue. I temi su cui si soffermano sono l’irrequietezza della generazione di Lessing (ereditata dal nostro tempo?), la disillusione insorta con la caduta delle grandi ideologie e il disvelamento dei loro crimini, il senso di solitudine, di incompiutezza e di non-appartenenza di una scrittrice che per anni ha cercato una “casa” (fisica ma anche ideale) diversa da quella che le era toccata in sorte. 
Il giorno che morì Stalin, brevissimo racconto in prima persona che manifesta queste e altre tematiche, dà voce soprattutto al sentimento di incertezza e di irrisolta incapacità di trovare un senso nelle cose che ha marcato fortemente il mondo postbellico, mettendo radici così profonde che ancora oggi sembriamo non essere in grado di liberarcene. 
Non voglio aggiungere altro, perché il libricino merita di essere letto in prima persona: come sempre accade, è attraverso i nostri ricordi e le nostre personali sensazioni ed esperienze che possiamo riconoscere pienamente la potenza della grande letteratura.