1 settembre 2013

Stoner

Ho letto Stoner di John Edward Williams. Pubblicato per la prima volta nel 1965, questo breve romanzo è tornato alla ribalta con una edizione di qualche anno fa, che anche grazie al passaparola ha accresciuto improvvisamente la sua fama. Il libro racconta la storia di William Stoner, un ragazzo dalle campagne del Missouri che indirizzato alla facoltà di agraria dal padre contadino, sceglie invece l'indirizzo letterario, e con il passare degli anni, dopo la laurea e il dottorato, diventa professore di letteratura nello stesso ateneo.
Ciò che rende Stoner un capolavoro, facendogli raggiungere toni addirittura commoventi nella loro asciutta e limpida sobrietà, è soprattutto l'andatura della narrazione, che con passo silenzioso e regolare sa attraversare decenni di storia americana e di vita personale. Da questo punto di vista il libro sembra appartenere quasi a una tradizione orale, o di quel romanzo vittoriano destinato ad essere non solo letto individualmente, ma assaporato in famiglia, o davanti a un uditorio in attesa. Il ritmo del racconto è quieto come quello di una favola; ancora più doloroso diventa dunque il suo contenuto, ovvero la descrizione di una infelicità pressoché assoluta.
Dall'infanzia nei campi agli studi onerosi, dal matrimonio fallimentare ai conflitti all'interno dell'università (lo spaccato che ci viene offerto dei comuni intrighi all'interno di un dipartimento è di una lucidità tristissima), Stoner attraversa un'intera esistenza caratterizzata dalla fatica, dall'incomprensione, dal senso di inadeguatezza e dal rimpianto. Con la moglie Edith la quotidianità è una sorta di incubo silente, che lo rende vittima di un meccanismo perverso di sofferenza, di umiliazione e di frustrazione; sul lavoro, nella convinzione di agire per il bene dell'istituzione e per il rispetto di un precetto morale di equità, Stoner si accattiva l'odio di un collega che diverrà direttore di dipartimento, e che gli renderà la carriera un inferno. Persino con gli studenti egli non riesce a creare un rapporto di normale comunicazione e condivisione: e senza rendersene neppure conto egli diventa la pedina di un brutale gioco di potere dal quale solo lui uscirà sconfitto.
La sensazione che ci perseguita nel corso di tutta la storia è che Stoner sia un inetto travolto dagli eventi della vita, un essere umano per il quale proviamo infinita pena, e che pure ci ricorda quanto sia faticoso, e talvolta impossibile, essere il faber del proprio destino. Talvolta ci chiediamo perché Stoner non reagisca agli accadimenti, perché si abbandoni alla passività, perché non combatta per salvarsi dell'onda del Nulla che minaccia di inghiottirlo. Infine, però, anche noi soccombiamo alla percezione dell'ineluttabilità delle cose, e non possiamo che voler bene a questo personaggio troppo umano, mentre lo accompagniamo verso la sua ultima pagina.